lunedì 9 luglio 2012

Masturbazione nella storia della chiesa cattolica

YOUCAT - CITTA' NUOVA 2011 - L’autoerotismo è una violazione dell’amore. La Chiesa non demonizza l’autoerotismo ma mette in guardia dal minimizzarne la portata. Nella realtà molti giovani e molti adulti sono esposti al rischio di isolarsi nel consumo di immagini e filmati erotici su internet invece di trovare amore in una relazione personale. La solitudine può spingere in un vicolo cieco in cui l’autoerotismo diventa una vera e propria manìa.     CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA - COMPENDIO - Libreria Editrice Vaticana 2005 492. Quali sono i principali peccati contro la castità? Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l'adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria. Commessi su minori, tali atti sono un attentato ancora più grave contro la loro integrità fisica e morale. 493. Perché il sesto Comandamento, benché reciti «non commettere adulterio», vieta tutti i peccati contro la castità? Benché nel testo biblico del Decalogo si legga «non commettere adulterio» (Es 20,14), la Tradizione della Chiesa segue complessivamente gli insegnamenti morali dell'Antico e del Nuovo Testamento, e considera il sesto Comandamento come inglobante tutti i peccati contro la castità. CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA Libreria Editrice Vaticana 1992 ARTICOLO 6 IL SESTO COMANDAMENTO Le offese alla castità 2351 La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione. 2352 Per masturbazione si deve intendere l'eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo. « Sia il Magistero della Chiesa – nella linea di una tradizione costante – sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato ». « Qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale al di fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità ». Il godimento sessuale vi è ricercato al di fuori della « relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana ». 236 Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l'azione pastorale, si terrà conto dell'immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d'angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale. Nota 236 - Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 9: AAS 68 (1976) 86.   PERSONA HUMANA 29 dicembre 1975 - CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE   Masturbazione 9. Spesso, oggi, si mette in dubbio o si nega espressamente la dottrina tradizionale cattolica, secondo la quale la masturbazione costituisce un grave disordine morale. La psicologia e la sociologia, si dice, dimostrano che, soprattutto tra gli adolescenti, essa è un fenomeno normale dell'evoluzione della sessualità. Non ci sarebbe colpa reale e grave, se non nella misura in cui il soggetto cedesse deliberatamente ad un'auto soddisfazione chiusa in se stessa («ipsazione»), perché in tal caso l'atto sarebbe radicalmente contrario a quella comunione amorosa tra persone di diverso sesso, che secondo certuni sarebbe quel che principalmente si cerca nell'uso della facoltà sessuale. Questa opinione è contraria alla dottrina e alla pratica pastorale della chiesa cattolica. Quale che sia il valore di certi argomenti d'ordine biologico o filosofico, di cui talvolta si sono serviti i teologi, di fatto sia il magistero della chiesa - nella linea di una tradizione costante -, sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato.(15) La ragione principale è che, qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale, al di fuori dei rapporti coniugali normali, contraddice essenzialmente la sua finalità. A tale uso manca, infatti, la relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, «in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».(16) Soltanto a questa relazione regolare dev'essere riservato ogni esercizio deliberato sulla sessualità. Anche se non si può stabilire con certezza che la Scrittura riprova questo peccato con una distinta denominazione, la tradizione della chiesa ha giustamente inteso che esso veniva condannato nel nuovo testamento, quando questo parla di «impurità», di «impudicizia», o di altri vizi, contrari alla castità e alla continenza. Le inchieste sociologiche possono indicare la frequenza questo disordine secondo i luoghi, la popolazione o le circostanze prese in considerazione; si rilevano così dei fatti. Ma i fatti non costituiscono un criterio che permette di giudicare del valore morale degli atti umani.(17) La frequenza del fenomeno in questione è, certo, da mettere in rapporto con l'innata debolezza dell'uomo in conseguenza del peccato originale, ma anche con la perdita del senso di Dio, la depravazione dei costumi, generata dalla commercializzazione del vizio, la sfrenata licenza di tanti spettacoli e di pubblicazioni, come anche con l'oblio del pudore, custode della castità. La psicologia moderna offre, in materia di masturbazione, parecchi dati validi e utili, per formulare un giudizio più equo sulla responsabilità morale e per orientare l'azione pastorale. Essa aiuta a vedere come l'immaturità dell'adolescenza, che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo squilibrio psichico, o l'abitudine contratta possano influire sul comportamento, attenuando il carattere deliberato dell'atto, e far sì che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave. Tuttavia, in generale, l'assenza di grave responsabilità non deve essere presunta; ciò significherebbe misconoscere la capacità morale delle persone. Nel ministero pastorale, per formarsi un giudizio adeguato nei casi concreti, sarà preso in considerazione, nella sua totalità, il comportamento abituale delle persone, non soltanto per ciò che riguarda la pratica della carità e della giustizia, ma anche circa la preoccupazione di osservare il precetto particolare della castità. Si vedrà, specialmente, se si fa ricorso ai mezzi necessari, naturali e soprannaturali, che l'ascesi cristiana, nella sua esperienza di sempre, raccomanda per dominare le passioni e far progredire la virtù. (15) Cf. LEONE IX, Ep. Ad splendidum nitentis, a. 1054: Denz 687-688; Sant’Offizio, Decreto del 2.3.1679: Denz 2149; Pio XII, Allocuzioni dell'8 ottobre 1953 e del 19 maggio 1956: AAS 45(1953), 677s e 58(1956), 472s. (16) Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483 Il Catechismo Maggiore di San Pio X - CATECHISMO MAGGIORE COMPENDIO DELLA DOTTRINA CRISTIANA PRESCRITTO DA SUA SANTITÀ PAPA PIO X ALLE DIOCESI DELLA PROVINCIA DI ROMA, ROMA, TIPOGR.VATICANA, 1905 PARTE TERZA - DEI COMANDAMENTI DI DIO E DELLA CHIESA 1 - Del sesto e del nono comandamento. 423. Che cosa ci proibisce il sesto comandamento: Non fornicare? Il sesto comandamento: Non fornicare, ci proibisce ogni atto, ogni sguardo, ogni discorso contrario alla castità, e l'infedeltà nel matrimonio. 424. Che cosa proibisce il nono comandamento? Il nono comandamento proibisce espressamente ogni desiderio contrario alla fedeltà che i coniugi si sono giurata nel contrarre matrimonio: e proibisce pure ogni colpevole pensiero o desiderio di azione vietata dal sesto comandamento. 425. É un gran peccato l'impurità? È un peccato gravissimo ed abominevole innanzi a Dio ed agli uomini; avvilisce l'uomo alla condizione dei bruti, lo trascina a molti altri peccati e vizi, e provoca i più terribili castighi in questa vita e nell'altra. 426. Sono peccati tutti i pensieri che ci vengono in mente contro la purità? I pensieri che ci vengono in mente contro la purità, per se stessi non sono peccati, ma piuttosto tentazioni e incentivi al peccato. 427. Quando è che sono peccati i pensieri cattivi? I pensieri cattivi, ancorché siano inefficaci, sono peccati quando colpevolmente diamo loro motivo, o vi acconsentiamo, o ci esponiamo al pericolo prossimo di acconsentirvi. 428. Che cosa ci ordinano il sesto e nono comandamento? Il sesto comandamento ci ordina di essere casti e modesti negli atti, negli sguardi, nel portamento e nelle parole. Il nono comandamento ci ordina di essere casti e puri anche nell'interno, cioè nella mente e nel cuore. 429. Che cosa ci convien fare per osservare il sesto e il nono comandamento? Per ben osservare il sesto e il nono comandamento, dobbiamo pregare spesso e di cuore Iddio, essere divoti di Maria Vergine Madre della purità, ricordarci che Dio ci vede, pensare alla morte, ai divini castighi, alla passione di Gesù Cristo, custodire i nostri sensi, praticare la mortificazione cristiana e frequentare colle dovute disposizioni i sacramenti. 430. Che cosa dobbiamo fuggire per mantenerci casti? Per mantenerci casti conviene fuggire l'ozio, i cattivi compagni, la lettura dei libri e dei giornali cattivi, l'intemperanza, il guardare le immagini indecenti, gli spettacoli licenziosi, le conversazioni pericolose, e tutte le altre occasioni di peccato.   Catechismo Tridentino CATECHISMO ROMANO DECRETATO DAL CONCILIO TRIDENTINO Catechismo ad uso dei parroci, pubblicato dal Papa S. Pio V per Decreto del Concilio di Trento. PARTE TERZA: I PRECETTI DEL DECALOGO SESTO COMANDAMENTO Non commettere atti impuri 333. Spiegazione del comandamento Se il vincolo tra marito e moglie è il più stretto che esista, e nulla può essere loro più dolce che il sentirsi vicendevolmente stretti da un affetto speciale, nulla, al contrario, può capitare a uno di essi di più amaro che sentire il legittimo amore del coniuge rivolgersi altrove. Ragionevolmente, perciò, alla legge, che garantisce la vita umana dall'omicidio, segue quella che vieta la fornicazione o l'adulterio, affinché nessuno tenti di contaminare o spezzare quella santa e veneranda unione matrimoniale, da cui suole scaturire cosi ardente fuoco di carità. Toccando questo argomento, il Parroco usi la più prudente cautela e con sagge parole alluda a cose che esigono più la moderazione che l'abbondanza dell'eloquio. E da temersi infatti che, diffondendosi troppo a spiegare i modi con cui gli uomini possono trasgredire questo comandamento, finisca col dire frasi capaci di eccitare la sensualità, anziché reprimerla. Ad ogni modo il precetto racchiude molti elementi che non possono essere trascurati, e il Parroco li spiegherà a suo tempo. Esso ha due parti: una che vieta apertamente l'adulterio; l'altra, più generale, che impone la castità dell'anima e del corpo. 334. L'adulterio Per iniziare l'insegnamento da quello che è vietato, diremo subito che adulterio è violazione del legittimo letto, proprio o altrui. Se un marito ha rapporti carnali con donna non coniugata, viola il proprio vincolo matrimoniale; se un individuo non coniugato ha rapporti con donna maritata, è contaminato, dal delitto di adulterio, il vincolo altrui. Sant'Ambrogio e sant'Agostino confermano che con tale divieto dell'adulterio è proibito ogni atto disonesto e impudico. Ciò risulta direttamente dalla Scrittura del vecchio come del nuovo Testamento. Nei libri mosaici vediamo puniti altri generi di libidine carnale, oltre l'adulterio. Leggiamo nella Genesi la sentenza pronunciata da Giuda contro la nuora (Gn 38,24); nel Deuteronomio è formulato questo precetto: tra le figlie d'Israele nessuna sia cortigiana (Dt 23,17). Tobia cosi esorta il figliuolo: Guardati, figlio mio, da ogni atto impudico (Tb 4,13). E l'Ecclesiastico dice: Vergognatevi di guardare la donna peccatrice (Si 41,25). Nel Vangelo Gesù Cristo dichiara che dal cuore emanano gli adulteri e le azioni disoneste che macchiano l'uomo (Mt 15,19). L'apostolo Paolo bolla di frequente, con parole roventi, questo vizio: Dio vuole la vostra santificazione; vuole che vi asteniate dalle impurità (1Th 4,3). E altrove: Evitate ogni fornicazione (1Co 6,18); Non vi mescolate agli impudichi (1Co 5,9); In mezzo a voi, non siano neppur nominate l'incontinenza, l'impurità di ogni genere e l'avarizia (Ep 5,3); Disonesti ed adulteri, effeminati e pederasti, non possederanno il regno di Dio (1Co 6,9). L'adulterio è stato espressamente menzionato nel divieto, perché alla sconcezza che riveste in comune con tutte le altre forme di incontinenza, accoppia un peccato di ingiustizia verso il prossimo e la società civile. Inoltre è indubitato che chi non si tiene lontano dalle forme ordinarie dell'impudicizia, facilmente incapperà nel crimine di adulterio. Cosi è agevole comprendere come nel divieto dell'adulterio sia inclusa la proibizione di ogni genere di impurità contaminante il corpo. Del resto che questo comandamento investa ogni intima libidine dell'animo, appare dalla natura stessa della legge, che è spirituale, e dalle esplicite parole di nostro Signore: Udiste che fu detto agli antichi: Non fare adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per fine disonesto, in cuor suo ha già commesso adulterio su lei (Mt 5,27). A ciò che riteniamo debba essere insegnato pubblicamente ai fedeli, si aggiungano i decreti del concilio di Trento contro gli adùlteri e coloro che mantengono prostitute e concubine (Sess. 24, e. 8), tralasciando di parlare dei vari e multiformi generi di libidine sessuale, intorno ai quali il Parroco ammonirà i singoli fedeli, qualora le circostanze di tempo e di persona lo richiedano. Considerazioni per conservare la castità 335. Siano pure spiegate le prescrizioni che hanno forza di precetto. I fedeli devono essere ammaestrati ed esortati a rispettare con ogni cura la pudicizia e la continenza, a conservarsi mondi da ogni contaminazione della carne e dello spirito, attuando la santificazione nel timore di Dio (2Co 7,1). Si dica loro che, sebbene la virtù della castità debba maggiormente brillare in quella categoria di persone che coltiva il magnifico e pressoché divino proposito della verginità, pure essa conviene anche a coloro che menano vita celibataria o, congiunti in matrimonio, si mantengono mondi dalla libidine vietata. Le molte sentenze dei Padri, con cui siamo ammaestrati a dominare le passioni sensuali e a frenare l'istinto passionale, saranno dal Parroco accuratamente esposte al popolo, con una trattazione diligente e costante. Parte di esse riguarda il pensiero, parte l'azione. Il rimedio che fa leva sull'intelligenza tende a farci comprendere quanto grandi siano la turpitudine e il pericolo di questo peccato. In base a simile apprezzamento, più viva arderà in noi l'avversione per esso. Si tratta di un peccato che è un vero flagello, a causa di esso sugli uomini incombe l'ultima rovina: l'espulsione dal regno di Dio e lo sterminio. Questo può sembrare comune a ogni genere di peccato; ma qui abbiamo di caratteristico che i fornicatori, secondo la frase dell'Apostolo, peccano contro il proprio corpo: Fuggite l'impudicizia; qualunque peccato l'uomo commetta, si svolge fuori del corpo, ma il fornicatore pecca sul proprio corpo (1Co 6,18); vale a dire lo tratta ignominiosamente, violandone la santità. A quei di Tessalonica lo stesso san Paolo diceva: Dio vuole la vostra santificazione; che vi asteniate da atti impuri; che ciascuno di voi sappia mantenere il vaso del suo corpo in santità e dignità, non nella irrequietezza del desiderio, come i pagani che ignorano Dio (1Th 4,5). E cosa ben più ripugnante, se è un cristiano colui che si unisce turpemente a una meretrice; perché rende membra di meretrice le membra di Gesù Cristo, come appunto dice san Paolo: Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù Cristo? Sottraendo le membra a Gesù Cristo, le faro membra della meretrice? Non sia mai. Ignorate forse che aderendo alla meretrice, ne risulta un solo corpo? (1Co 6,15). Inoltre il Cristiano, sempre secondo san Paolo, è tempio dello Spirito santo (1Co 6,19); violarlo significa espellerne lo Spirito santo stesso. Tuttavia particolare malvagità è racchiusa nel delitto di adulterio. Infatti, come vuole l'Apostolo, i coniugi sono cosi vincolati da una scambievole sudditanza che nessuno dei due possiede illimitata potestà sul proprio corpo, ma sono cosi schiavi l'uno dell'altro che il marito deve uniformarsi alla volontà della moglie e la moglie a quella del marito (1Co 7,4). Ne consegue che chi dei due separa il proprio corpo, soggetto all'altrui diritto, da colui al quale è vincolato, si rende reo di specialissima iniquità. E poiché l'orrore dell'infamia è per gli uomini un valido stimolo a fare quanto è prescritto e a fuggire quanto è vietato, il Parroco insisterà nel mostrare come l'adulterio imprima sugli individui un profondo segno di infamia. E scritto nella sacra Scrittura: L'adùltero, a causa della sua fragilità di cuore, perderà l'anima sua; condensa su di sé la vergogna e l'abbominio; la sua turpitudine non sarà mai cancellata (Pr 6,32). La gravita di questa colpa può essere facilmente ricavata dalla severità della punizione stabilita. Nella legge fissata da Dio nel vecchio Testamento gli adulteri venivano lapidati (Lv 20,10 Dt 22,22). Anzi talora per la concupiscenza sfrenata di uno solo, non il reo semplicemente, ma l'intera città fu condannata alla distruzione; tale fu la sorte dei Sichemiti (Gn 34,25). Del resto numerosi appaiono nella sacra Scrittura gli esempi dell'ira divina, che il Parroco potrà evocare, per allontanare gli uomini dalla riprovevole libidine: la sorte di Sodoma e delle città confinanti (Gn XIX,24); il supplizio degli Israeliti che avevano fornicato nel deserto con le figlie di Moab (Num. 25); la distruzione dei Beniamiti (Giud. 20). Se v'è qualcuno che sfugge alla morte, non si sottrae pero a dolori intollerabili, a tormenti punitivi, che piombano inesorabili. Accecato com'è nella mente (ed è già questa pena gravissima), non tiene più conto di Dio, della fama, della dignità, dei figli, e della stessa vita. Resta cosi depravato e inutilizzato, da non poterglisi affidare nulla di importante, o assegnarlo come idoneo ad alcun ufficio. Possiamo scorgere esempi di questo in David come in Salomone. Il primo, resosi reo di adulterio, subitamente cambio natura e da mitissimo divenne feroce, si da mandare alla morte l'ottimo Uria (2S 2S 11); l'altro, perduto nei piaceri delle donne, si allontano talmente dalla vera religione di Dio, da seguire divinità straniere (3 Re, 11). Secondo la parola di Osea, questo peccato travia il cuore dell'uomo (Os 4,11) e ne acceca la mente. ----------------------------------------------------------------------------------- Preparazione per ben ricevere l'Eucaristia ... Però non l'anima soltanto, ma anche il corpo deve essere preparato alla sacra mensa: primo, con il "digiuno", che impone di non mangiare ne bere nulla dalla mezzanotte antecedente fino al momento in cui si riceve l'Eucaristia; secondo, la dignità di tanto sacramento richiede ancora che "i coniugati si astengano" per qualche giorno "dalla copula", dietro l'esempio di David il quale, ricevendo dal sacerdote i pani di proposizione, dichiarò di essersi astenuto per tre giorni, egli e i suoi servi, da commercio carnale (1 Sam 21,3ss). Queste sono le principali disposizioni che i fedeli dovranno avere per appressarsi a ricevere con frutto i santi misteri; tutte le altre potranno facilmente ridursi a quelle sopra elencate.   S. Tommaso d'Aquino Somma teologica II-II q. 154 a.11 Articolo 11: Se il vizio contro natura sia una specie della lussuria Rispondo: Come già si è notato [aa. 6, 9], esiste una specie distinta di lussuria là dove si riscontra un disordine speciale che rende indecente l'atto venereo. E ciò può avvenire in due modi. Primo, perché [tale disordine] ripugna alla retta ragione: il che si riscontra in tutti i peccati di lussuria. Secondo, perché oltre a ciò ripugna anche allo stesso ordine naturale e fisiologico dell'atto sessuale proprio della specie umana: e questo viene detto peccato o vizio contro natura. Il quale può essere compiuto in più modi. Primo, procurando senza alcun rapporto sessuale la polluzione in vista del piacere venereo: e questo è il peccato di immondezza, che alcuni chiamano mollezza [o masturbazione]. Secondo, praticando l'unione sessuale con esseri di altra specie: e si ha allora la bestialità. Terzo, accoppiandosi con il sesso indebito, cioè maschi con maschi e femmine con femmine, come riferisce S. Paolo [Rm 1, 26 s.]: e questo è il vizio della sodomia. Quarto, non osservando il modo naturale dell'accoppiamento: o perché non si usano i debiti organi, o perché si compie l'atto in altri modi mostruosi e bestiali. Articolo 12: Se il vizio contro natura sia il più grave dei peccati di lussuria S. Agostino [De bono coniug. 8] afferma che "fra tutti questi peccati", cioè quelli di lussuria, "il peggiore è quello contro natura". Rispondo: In ogni genere di cose la degenerazione più grave è la corruzione dei princìpi, da cui tutto il resto dipende. Ora, i princìpi della ragione umana sono dati da ciò che è secondo la natura: infatti la ragione, presupposto ciò che è determinato dalla natura, dispone il resto in conformità ad essa. E ciò è evidente sia in campo speculativo che in campo pratico. Come quindi in campo speculativo l'errore circa i princìpi noti per natura è quello più grave e vergognoso, così in campo pratico l'agire contro ciò che è secondo la natura è il peccato più grave e più turpe. Poiché dunque nel vizio contro natura si trasgredisce ciò che è determinato secondo la natura nell'uso della sessualità, ne segue che questo è il peccato più grave in tale materia. Dopo del quale viene l'incesto, che è contro la riverenza naturale dovuta ai propri congiunti, come si è detto [a. 9]. ____________________________________________________ Gravità della masturbazione PERSONA HUMANA - ALCUNE QUESTIONI DI ETICA SESSUALE - 29 dicembre 1975 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Quale che sia il valore di certi argomenti d'ordine biologico o filosofico, di cui talvolta si sono serviti i teologi, di fatto sia il magistero della chiesa - nella linea di una tradizione costante -, sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato.(15) La ragione principale è che, qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale, al di fuori dei rapporti coniugali normali, contraddice essenzialmente la sua finalità. A tale uso manca, infatti, la relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, «in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».(16) Soltanto a questa relazione regolare dev'essere riservato ogni esercizio deliberato sulla sessualità. Anche se non si può stabilire con certezza che la Scrittura riprova questo peccato con una distinta denominazione, la tradizione della chiesa ha giustamente inteso che esso veniva condannato nel nuovo testamento, quando questo parla di «impurità», di «impudicizia», o di altri vizi, contrari alla castità e alla continenza. Commento : In " la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato", significa che l' atto umano in quanto va contro la legge e il disegno di Dio Creatore è un atto che si deve valutare peccato mortale perché rompe l’alleanza con Dio. Come San Paolo, nelle sue lettere, quando parla dei vizi e dei "peccati" e perversione dei senza Dio del suo tempo, non dice che sono "peccati mortali" ma, con il suo linguaggio biblicamente tecnico nella sua predicazione, dice come valutazione morale gravissima e mortale l’espressione "quelli che si comportano in questo modo non avranno posto nel regno di Dio": intende dire cioè che sono peccati mortali gravissimi. Il documento citato è proprio voluto e emanato dal Magistero per cercare da un lato di valutare e onestamente accettare il prezioso contributo intrinseco degli apporti della psicologia e della filosofia moderna deducendone che non si discute sulla gravità morale degli atti masturbatori ma che, giustamente, secondo gli apporti delle scienze moderne si deve essere molto prudenti nel valutare sul soggeto che compie gli atti per valutare se ha effettivamente tutte le condizioni che sempre la Chiesa ha esigito perché un atto possa e debba essere valutato "peccato grave". Come dire che negli atti che si riferiscono alla sessualità umana c’è sempre materia grave (da valutarsi base di peccato mortale) ma non sempre ci sono gli altri due elementi che portano effettivamente a compiere un peccato mortale: piena consapevolezza e deliberato consenso. _________________________________________________________________________________________________ CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA Libreria Editrice Vaticana 1992 IV. L’inferno 1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli.627 Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ». 1034 Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile »,628 che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo.629 Gesù annunzia con parole severe: « Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente » (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41). 1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, « il fuoco eterno ».630 La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira. 1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla con- versione: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » (Mt 7,13-14). « Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti ».631 1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; 632 questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghie- re quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » (2 Pt 3,9): « Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti ».633 620 Cf Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304. 621 Cf Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de purgatorio: DS 1820; Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 30: DS 1580. 622 Per esempio, 1 Cor 3,15; 1 Pt 1,7. 623 San Gregorio Magno, Dialogi, 4, 41, 3: SC 265, 148 (4, 39: PL 77, 396). 624 Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 856. 625 Cf Gb 1,5. 626 San Giovanni Crisostomo, In epistulam I ad Corinthios, homilia 41, 5: PG 61, 361. Credo nello Spirito Santo 301 627 Cf Mt 25,31-46. 628 Cf Mt 5,22.29; 13,42.50; Mc 9,43-48. 629 Cf Mt 10,28. 630 Cf Simbolo Quicumque: DS 76; Sinodo di Costantinopoli (anno 543), Anathematismi contra Origenem, 7: DS 409; Ibid., 9: DS 411; Concilio Lateranense IV, Cap. 1, De fide catholica: DS 801; Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 858; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1002; Concilio di Firenze, Decretum pro Iacobitis: DS 1351; Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 25: DS 1575; Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 12: AAS 60 (1968) 438. 302 Parte prima, Sezione seconda, Capitolo terzo S. UFFICIO Il S. Ufficio alla domanda: “È lecita la masturbazione direttamente procurata con lo scopo di ottenere lo sperma per scoprire la malattia contagiosa “blenorragia”, e, per quanto possibile, curarla?” ha risposto di “no” (il testo latino: “Utrum licita sit masturbatio directe procurata ut obtineatur sperma quo contagiosus morbus ‘blenorragia’ detegatur et, quantum fieri potest, curetur’: Resp. negative” (DS 3684), 24.7.1929). Un sacerdote risponde - w.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=2031 La gravità oggettiva della masturbazione: che fare nel caso in cui si richiede un esame del liquido seminale? Caro P. Angelo, innanzitutto complimenti per la chiarezza delle sue risposte. Le chiedo cortesemente luce su una questione, sulla quale recentemente ho avuto l’occasione di confrontarmi e non ho saputo come rispondere. Premessa la gravità oggettiva della masturbazione, che fare nel caso in cui, al fine di intraprendere cure per la fertilità, un uomo si trovasse nella necessità di effettuare esami di laboratorio su campioni non prelevabili in altro modo? Grazie anticipatamente. Risposta del sacerdote Carissimo, 1. sul prelievo dello sperma anche solo a scopo diagnostico il Magistero della Chiesa è sempre stato chiaro e non lasci adito a dubbi. Il S. Ufficio alla domanda: “È lecita la masturbazione direttamente procurata con lo scopo di ottenere lo sperma per scoprire la malattia contagiosa “blenorragia”, e, per quanto possibile, curarla?” ha risposto di “no” (24.7.1929; DS 3684). Pio XII ha detto: “D’altra parte è superfluo osservare che l’elemento attivo non può giammai essere procurato legittimamente mediante un atto contro natura” (29.9.1949). Nel 1956 Pio XII ha ricordato la proibizione per i biologi di attuare analisi su sperma prelevato attraverso masturbazione. Da ultimo anche la Donum Vitae (22.2.1987) ha ribadito il giudizio: “La masturbazione mediante la quale viene normalmente procurato il seme, è un altro segno di tale dissociazione; anche quando questo è in vista della procreazione, il gesto rimane privo del suo significato unitivo: ‘gli manca... la relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana” (DV II,6). E nella nota 54 rimanda ai documenti del magistero in materia. 2. Il problema del prelievo dello sperma viene posto oggi in maniera più frequente sia in ordine alle tecniche di procreazione assistita (inseminazione e fecondazione artificiale) sia per valutare in sede di laboratorio la presenza di eventuali patologie nel soggetto. Proprio per questo anche il Comitato Nazionale per la Bioetica ha voluto esaminare questo problema anche negli aspetti etici. Nelle «Conclusioni», a proposito della «Raccolta del seme», si legge: «Consapevole del fatto che la raccolta del liquido seminale per masturbazione può comportare - per una parte dei medici e dei pazienti interessati problemi e perplessità di ordine psicologico e di morale personale, oltre che religiosi, il Cnb ritiene che: (...) deve essere in ogni caso strettamente salvaguardato, nel rapporto medico-paziente, il pieno rispetto delle convinzioni religiose e culturali e della dignità personale del paziente in merito alla raccolta del seme; (...) deve essere altresì garantita al paziente la piena informazione su eventuali metodiche alternative scientificamente valide e alle quali egli deve comunque dare il proprio consenso» 15. Metodiche alternative sono, per esempio: «l'utilizzo di strumenti che, con opportuna stimolazione, ottengono la emissione del liquido seminale senza masturbazione, e cioè senza erezione e senza coinvolgimento "erotico" del soggetto». Così pure «la raccolta del seme in profilattico perforato nel corso di un normale rapporto sessuale» (A. Isidori, L’inseminazione artificiale omologa ed eterologa nella sterilità maschile: aspetti medici e psicologici, «Medicina e Morale» 43 (1993), 78s.; per il prelievo strumentale senza coinvolgimento erotico del soggetto, si veda: A.G. Spagnolo et al., Valutazione scientifica ed etica di un metodo per il prelievo diagnostico del liquido seminale umano, ivi, pp. 1189-1203). 3. Per chi è sposato la strada più percorribile è proprio quella della «raccolta del seme in profilattico perforato nel corso di un normale rapporto sessuale». Alcuni studiosi, come Zavos e coll., hanno dimostrato che il seme raccolto in profilattico perforato in silastic è migliore di quello prelevato mediante masturbazione per volume, per conta spermatica totale, per motilità e morfologia spermatica. Questo perché nel rapporto coniugale vi sarebbe una maggiore intensità di stimolazione sessuale, presumibilmente per un migliore riempimento dei vasi deferenti prima dell’eiaculazione (cfr. di pietro, spagnuolo, sgreccia, in Metanalisi della GIFT, in Medicina e Morale, 1/1990, p. 21). Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. Padre Angelo Pio XII in un discorso pronunciato il 19 maggio 1956 sulla sterilità coniugale e l’inseminazione artificiale ha affermato: “Abbiamo esaminato questo modo d'agire anche nel discorso pronunciato davanti agli urologi riuniti in congresso, l'8 ottobre 1953, in cui abbiamo detto: «Del resto, il Sant'Ufficio ha deciso già il 2 agosto 1929 che una 'masturbazione direttamente provocata per ottenere sperma' non è lecita; e ciò qualunque sia lo scopo dell'esame»'. Ma poiché ci è stato riferito che tale cattiva consuetudine si diffonde in molti luoghi, consideriamo opportuno ricordare anche ora e sottolineare nuovamente il nostro precedente ammonimento. Quando simili atti sono compiuti per soddisfare la libidine, lo stesso naturale sentimento umano spontaneamente li riprova, e ancor più il giudizio della ragione, ogni qual volta esamini la questione con maturità e rettitudine. Ma questi stessi atti devono essere riprovati anche quando gravi motivi sembrano esimerli da colpa, come: le cure prestate a coloro che soffrono di una eccessiva tensione nervosa odi spasmi anormali; l'esame microscopico di sperma infetto da batteri di origine venerea o di altra origine; l'analisi delle diverse componenti ordinarie dello spenna volta a discernere la presenza degli elementi vitali, il loro numero, quantità, forma, vigore, apparenza e altri elementi del genere. Il fatto di procurarsi sperma umano mediante masturbazione ha di mira direttamente il pieno esercizio naturale della facoltà umana di generare. Ora questo pieno esercizio, attuato al di fuori dell'unione coniugale, comporta l'uso diretto e indebitamente usurpato di questa stessa facoltà. In quest'uso indebito si colloca appunto la intrinseca violazione della regola morale. Infatti, l'uomo non ha alcun diritto di esercitare la facoltà sessuale per il fatto stesso di aver ricevuto questa facoltà dalla natura. All'uomo, in effetti (a differenza di quanto avviene per gli altri animali sprovvisti di ragione), il diritto e il potere di esercitare questa facoltà sono conferiti unicamente all'interno di un matrimonio validamente contratto, e sono compresi nel diritto matrimoniale conferito e accettato con il matrimonio stesso. Ne deriva quindi chiaramente che l'uomo, per la sola ragione che ha ricevutola facoltà sessuale dalla natura, ha soltanto il potere e il diritto di contrarre matrimonio. Tuttavia questo diritto, nel suo oggetto e nella sua ampiezza, è determinato dalla legge della natura, non dalla volontà dell'uomo. In virtù di questa legge naturale, l'uomo possiede il potere e il diritto al pieno esercizio della facoltà sessuale, direttamente ricercato, soltanto nel compimento dell'atto coniugale secondo la norma prescritta e definita dalla natura stessa. Al di fuori ditale atto naturale, neppure nel matrimonio è lecito il pieno uso di questa facoltà sessuale. Tali sono i limiti entro i quali la natura circoscrive il diritto di cui si è parlato e il suo esercizio. Per il fatto che il pieno esercizio della facoltà sessuale è circoscritto nel limite assoluto dell'atto coniugale, questa stessa facoltà diventa intrinsecamente idonea a raggiungere completamente il fine naturale del matrimonio (che non è solo la procreazione, ma anche l'educazione dei figli), e il suo esercizio è legato alfine in questione. Stando così le cose, la masturbazione si situa del tutto al di fuori della men-zionata capacità naturale di esercitare pienamente la facoltà sessuale, e perciò anche al di fuori del suo legame con il fine fissato dalla natura. Pertanto la masturbazione è priva di ogni titolo di diritto ed è contraria alle leggi della natura e della morale, anche se intende servire scopi giusti e non reprensibili. Tutto quanto detto fin qui sulla malizia intrinseca di ogni pieno uso del potere di generare al di fuori dell'atto coniugale naturale, vale in ugual modo sia che si tratti di persone congiunte in matrimonio o di persone non sposate, sia che il pieno esercizio dell'apparato genitale avvenga da parte dell'uomo o della donna, odi entrambi operanti di comune accordo; sia che ciò avvenga mediante contatti manuali o per interruzione dell'atto coniugale. Si tratta sempre infatti di un atto contrario alla natura e intrinsecamente cattivo” Pubblicato 12.10.2011 http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1599 Un sacerdote risponde Lo specialista mi ha prescritto lo "spermiogramma" fatto tramite masturbazione ma io ho dei dubbi morali... Quesito Caro Padre Angelo, sono un uomo di 40 anni, sono sposato da nove anni e non abbiamo figli, in questo momento stiamo facendo delle visite per verificare quale problema ci possa essere. Lo specialista mi ha prescritto lo "spermiogramma" fatto tramite masturbazione. Vorrei sapere se in questo caso si commette peccato grave anche se è fatto per una giusta causa (il volere un figlio). Grazie. a presto Risposta del sacerdote Carissimo, 1. Il Magistero su questo punto è sempre stato chiaro. Il S. Ufficio alla domanda: “È lecita la masturbazione direttamente procurata con lo scopo di ottenere lo sperma per scoprire la malattia contagiosa “blenorragia”, e, per quanto possibile, curarla?” ha risposto di “no” (il testo latino: “Utrum licita sit masturbatio directe procurata ut obtineatur sperma quo contagiosus morbus ‘blenorragia’ detegatur et, quantum fieri potest, curetur’: Resp. negative” (DS 3684), 24.7.1929). Pio XII poi disse: “D’altra parte è superfluo osservare che l’elemento attivo non può giammai essere procurato legittimamente mediante un atto contro natura” (29.9.1949). Da ultimo anche la Congregazione per la dottrina della fede con l’istruzione Donum vitae (22.2.1987) ha ribadito il giudizio: “La masturbazione mediante la quale viene normalmente procurato il seme, è un altro segno di tale dissociazione; anche quando questo è in vista della procreazione, il gesto rimane privo del suo significato unitivo: ‘gli manca... la relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana” (DV II,6). E nella nota 54 rimanda ai documenti del magistero in materia. 2. Il Comitato nazionale di bioetica, in data 5.5.1991, ha pubblicato un documento sui Problemi della raccolta e trattamento del liquido seminale umano per finalità diagnostiche. Premetto che il Comitato nazionale di bioetica non è un organo magisteriale. È un organismo prettamente laico. Ma su questo preciso problema offre indicazioni interessanti. Nell’Introduzione rileva che “quasi il 40% delle infertilità di coppia si ritiene debba attribuirsi ad un fattore maschile”. Circa la raccolta del liquido seminale, dice: “Per quanto attiene questo aspetto, il problema si collega a divergenti valutazioni… da un lato affermandosene la irrilevanza etica e dall’altro sostenendosi la incompatibilità di talune modalità di prelievo con principi di etica religiosa o anche con una parte dell’etica laica. In proposito il CNB, preso atto del perdurare di queste non univoche posizioni, ritiene di poter affermare che: a) soggettivamente la raccolta del liquido seminale per masturbazione può comportare, sia nel medico che nel paziente, problemi e perplessità di ordine morale personale anche non esclusivamente religiosi; b) esiste di fatto un’estraneità dell’operatore sanitario in merito al problema della raccolta del seme; c) deve essere strettamente salvaguardato, nel rapporto deontologico medico-paziente, il pieno rispetto delle convinzioni religiose e culturali e della dignità personale del paziente; d) deve essere altresì garantita al paziente stesso la piena informazione su eventuali metodiche alternative scientificamente valide e purché non lesive della integralità fisica dell’individuo, che ad esse deve comunque dare il proprio consenso; e) deve essere comunque salvaguardata la libertà del medico di rifiutare per motivazioni personali l’esecuzione di alcune prove, relative all’esame spermatico, che ritiene in contrasto con la propria coscienza. Nell’ambito di queste considerazioni, si colloca un aspetto di grande rilievo: quello della proposizione di metodi alternativi di raccolta di seme che potrebbero consentire di risolvere la questione morale purché scientificamente validi. In caso contrario non sarebbero “etici” e tali da salvaguardare la dignità della persona. È opinione comune tra i semiologi che la maggior parte dei procedimenti alternativi noti di raccolta di liquido seminale (raccolta in condom perforato, postcoitale, da spremitura prostatica o uretrale, perfino da puntura epidimaria a scopo diagnostico) non permettono di ottenere un seme idoneo sul piano diagnostico e/o procreativo perché alterato dal contatto con sostanze estranee o modificato nella sua composizione. Si tratterebbe quindi di metodi scientificamente non validi e pertanto non “etici” per sé, indipendentemente dal giudizio morale; per quanto anche la stessa masturbazione, quasi sempre gravata da difficoltà di ordine psicologico indipendentemente dai convincimenti religiosi del soggetto, può non dare esito ad un liquido seminale perfettamente “fisiologico”. Molti individui, inoltre, proprio per difficoltà di ordine psicologico e culturale, si rifiutano di produrre il liquido spermatico nell’ambiente sanitario; ed il trasporto da ambiente esterno del campione può, come noto, alterarne profondamente le caratteristiche. Appare quindi di grande importanza teorica e pratica la “acquisizione di metodiche alternative valide. Ultimamente (1989) è stato proposto un metodo alternativo di raccolta mediante un sistema in “silastic” (un particolare tipo di materiale plastico): il seme raccolto risulterebbe, allo studio comparativo, di qualità migliore di quello ottenuto per ipsazione (masturbazione)” (C. Romano - G.Grassani, Bioetica, pp. 563-564). Per conservare all’atto la sua potenziale finalità procretiva, viene poi perforato. 3. Il criterio morale sta in questo: che le azioni hanno un loro significato intrinseco. Se sono di per se stesse cattive, l’intenzione, per quanto buona, non le renderà mai lecite. In altre parole, il fine non giustifica i mezzi. 4. Aggiungo anche questo: da alcuni ginecologi ho sentito che talvolta la sterilità dipende anche dal fatto che si fa a dormire troppo tardi e che l’organismo della donna ne risente. Consigliano pertanto ritmi più naturali di vita, andando a dormire presto, come le galline (si fa per dire, perché sarebbe troppo presto!). 5. Due domeniche fa ho battezzato un bambino che secondo i medici non poteva essere concepito. Questi medici asserivano che l'unica strada per avere un figlio era quella della fecondazione artificiale. La giovane coppia si è rifiutata. L'8 dicembre dello scorso anno è andata pellegrina a Lourdes, pregando tutto il tempo. Ambedue hanno fatto il bagno. Tornati a casa, lei è rimasta incinta di un bel maschietto. Ti esorto a riporre la tua fiducia soprattutto nel Signore e nella Beata Vergine Maria, madre della vita. Per questo volentieri ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. Padre Angelo Pubblicato 05.07.2010 SAN TOMMASO D'AQUINO SOMMA TEOLOGICA PARTE II-II q.154 QUESTIONE 154 LE SPECIE DELLA LUSSURIA Veniamo ora a esaminare le varie parti della lussuria. Sull'argomento studieremo dodici argomenti: 1. La divisione della lussuria nelle sue parti; 2. Se la semplice fornicazione sia un peccato mortale; 3. Se sia il più grave dei peccati; 4. Se nei toccamenti, baci e altri allettamenti del genere ci possa essere il peccato mortale; 5. Se la polluzione notturna sia un peccato; 6. Lo stupro; 7. Il ratto; 8. L'adulterio; 9. L'incesto; 10. Il sacrilegio; 11. Il peccato contro natura; 12. L'ordine di gravità fra le suddette specie di peccati. Articolo 1: Se sia giusto dividere la lussuria in sei specie Sembra che non sia giusto dividere la lussuria in queste sei specie: fornicazione semplice, adulterio, incesto, stupro, ratto e peccato contro natura. Infatti: 1. La diversità di materia non dà una diversità di specie. Ora, la suddetta divisione è desunta dalla diversità della materia, cioè dal fatto di peccare con una sposata, o con una vergine, o con donne di altra condizione. Quindi sembra che in base a ciò non si possano dare diverse specie di lussuria. 2. Le specie di un peccato non sembra che possano differenziarsi per cose che appartengono ad altri peccati. Ma l'adulterio si distingue dalla semplice fornicazione solo per il fatto che uno si accosta alla moglie altrui, commettendo un'ingiustizia. Quindi l'adulterio non va posto tra le specie della lussuria. 3. Come capita che uno abusi di una donna che è unita a un altro nel matrimonio, così può capitare che uno abusi di una donna unita a Dio per voto. Quindi tra le specie della lussuria, come c'è l'adulterio, così ci deve essere anche il sacrilegio. 4. Chi è unito in matrimonio non pecca soltanto unendosi con un'altra donna, ma anche usando disordinatamente della propria moglie. E questo peccato rientra in quelli di lussuria. Quindi doveva essere elencato tra le sue specie. 5. Così scrive l'Apostolo [2 Cor 12, 21]: "Temo infatti che, alla mia venuta, il mio Dio mi umili davanti a voi, e io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono convertiti dalle impurità, dalla fornicazione e dalle impudicizie che hanno commesso". Quindi, come la fornicazione, così anche l'"impurità" e l'"impudicizia" dovevano essere elencate tra le specie della lussuria. 6. Ciò che va diviso non può essere uno dei termini della divisione. Invece la lussuria è posta tra le specie suddette, come risulta da quelle parole di S. Paolo [Gal 5, 19]: "Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, lussuria". Quindi non è giusto mettere la fornicazione tra le specie della lussuria. In contrario: La predetta divisione si riscontra nel Decreto [di Graz. 2, 36, 1]. Rispondo: Il peccato di lussuria consiste nell'uso irragionevole del piacere venereo, come si è detto [q. 153, a. 3]. E questo disordine può avvenire in due modi: primo, per la materia in cui uno cerca il piacere; secondo, per l'inosservanza delle altre debite circostanze. Ma poiché la circostanza come tale non dà la specie all'atto morale, che invece deriva dall'oggetto, ossia dalla materia dell'atto, così era necessario determinare le specie della lussuria in rapporto alla materia, ossia all'oggetto. Ora, tale materia può ripugnare alla retta ragione in due modi. Primo, perché è incompatibile col fine dell'atto venereo. E così in quanto viene impedita la generazione della prole si ha il peccato contro natura, che si commette in ogni atto venereo da cui non può seguire la generazione. In quanto invece ne risulta impedita l'educazione e la buona formazione della prole si ha la semplice fornicazione, che avviene tra due persone libere. Secondo, la materia in cui si esercita l'atto venereo può ripugnare alla retta ragione in rapporto ad altre persone. E ciò per due motivi. Primo, in rapporto alla donna di cui si abusa senza rispettarne l'onore. E allora si ha l'incesto, il quale consiste nell'abuso di donne unite da vincoli di consanguineità o di affinità. Secondo, in rapporto alla persona sotto il cui potere la donna si trova. Poiché se è sotto il potere del marito, si ha l'adulterio; se è invece sotto il potere del padre si ha lo stupro quando non si usa violenza e il ratto quando la si usa. E tutte queste specie vengono desunte più dalla parte della donna che da quella dell'uomo. Poiché nell'atto venereo la donna funge da elemento passivo e materiale, l'uomo invece da causa agente. Ora le specie ricordate, come si diceva, sono determinate secondo le differenze della materia. Soluzione delle difficoltà: 1. Le suddette differenze di materia implicano una diversità formale di oggetti, in base ai diversi tipi di ripugnanza alla retta ragione, secondo le spiegazioni date [nel corpo]. 2. Nulla impedisce che nel medesimo atto si assommino i disordini di più vizi, come sopra [I-II, q. 18, a. 7] si è detto. E così l'adulterio rientra nella lussuria e nell'ingiustizia. Né si può dire che il disordine dell'ingiustizia sia del tutto accidentale rispetto alla lussuria. Infatti la lussuria si rivela più grave per il fatto che uno si fa trascinare dalla concupiscenza fino a commettere un'ingiustizia. 3. La donna che fa voto di castità contrae un certo matrimonio spirituale con Dio. Perciò il sacrilegio che si compie violando questa donna è un certo adulterio spirituale. E così gli altri tipi di sacrilegio in questo campo si riducono alle altre specie della lussuria. 4. Il peccato degli sposati con le loro mogli non avviene perché la materia è indebita, ma per altre circostanze. Ora queste, come si è visto [nel corpo], non determinano la specie dell'atto morale. 5. Come dice la Glossa [interlin.], in quel testo "impurità" sta per "lussuria contro natura". "L'impudicizia" invece è quella "che si compie con donne non sposate": per cui pare che si riduca allo stupro. Ma si può anche pensare che l'"impudicizia" riguardi certi atti che accompagnano l'atto venereo, come i baci, i toccamenti e altre cose del genere. 6. Come spiega la Glossa [interlin.], in quel testo la lussuria indica "qualsiasi specie di eccesso". Articolo 2: Se la semplice fornicazione sia un peccato mortale Sembra che la semplice fornicazione non sia un peccato mortale. Infatti: 1. Le cose elencate nella medesima enumerazione sono da considerarsi alla pari. Ora, la fornicazione venne enumerata assieme a pratiche che non sono peccati mortali; si legge infatti [At 15, 29]: "Astenetevi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla fornicazione"; cose queste di cui l'uso non costituisce un peccato mortale, stando alle parole di S. Paolo [1 Tm 4, 4]: "Nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie". Perciò la fornicazione non è un peccato mortale. 2. Nessun peccato mortale può essere comandato da Dio. Ma a Osea [1, 2] il Signore comandò: "Va, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di fornicazione". Quindi la fornicazione non è un peccato mortale. 3. Nella Scrittura non è mai riferito un peccato mortale senza che venga biasimato. Invece la semplice fornicazione degli antichi Patriarchi viene riferita nella Scrittura senza rimproveri: come si legge di Abramo [Gen 16, 4] che si accostò alla sua schiava Agar; di Giacobbe [Gen 30, 5. 9] che si unì con le schiave delle sue mogli Balam e Zelfa; e ancora di Giuda [38, 15 ss.] che si unì con Tamar, da lui creduta una meretrice. Quindi la fornicazione semplice non è un peccato mortale. 4. Tutti i peccati mortali vanno contro la carità. Ma la fornicazione semplice non è contro la carità: né quanto all'amore di Dio, non essendo essa un peccato diretto contro Dio, né quanto all'amore del prossimo, poiché con essa non si fa torto a nessuno. Quindi la fornicazione semplice non è un peccato mortale. 5. Ogni peccato mortale conduce alla perdizione eterna. Non così invece la fornicazione semplice: poiché spiegando quel passo di S. Paolo [1 Tm 4, 8]: "La pietà è utile a tutto", S. Ambrogio [Ambrosiaster, in 1 Tm] afferma: "Tutto l'insegnamento di Cristo si riduce alla misericordia e alla pietà. Chi è fedele in questo, anche se soccombe alle attrattive della carne, senza dubbio sarà punito, ma non perirà". Quindi la fornicazione semplice non è un peccato mortale. 6. S. Agostino [De bono coniug. 16] ha scritto che "l'unione sessuale è per la vita del genere umano ciò che è il cibo per la vita del corpo". Ma non ogni disordine nel mangiare è un peccato mortale. Perciò neppure ogni unione sessuale disordinata. E ciò vale soprattutto per la fornicazione semplice, che è la meno grave delle specie elencate. In contrario: 1. In Tobia [4, 13] si legge: "Tieniti lontano da ogni fornicazione, e non ti permettere mai di commettere un crimine con una che non sia tua moglie". Ora, il termine crimine implica un peccato mortale. Quindi la fornicazione e ogni unione sessuale fuori del matrimonio è un peccato mortale. 2. Solo il peccato mortale esclude dal regno dei cieli. Ma tale è l'effetto della fornicazione, come risulta da quel testo di S. Paolo [Gal 5, 19 ss.] in cui, dopo aver elencato la fornicazione assieme ad altri peccati, conclude: "Chi compie queste cose non erediterà il regno di Dio". Perciò la fornicazione semplice è un peccato mortale. 3. Nel Decreto [di Graz. 2, 22, 1, 17] si legge: "Devono sapere che allo spergiuro va imposto un castigo pari a quello dell'adulterio, della fornicazione, dell'omicidio volontario e degli altri vizi criminali". Quindi la fornicazione semplice è un peccato criminale, cioè mortale. Rispondo: Si deve ritenere senza alcun dubbio che la fornicazione semplice è un peccato mortale, sebbene la Glossa [ord.] nel commentare un passo del Deuteronomio [23, 17] dica: "Proibisce di praticare le meretrici, la cui turpitudine è veniale". Infatti non si deve leggere veniale, ma venale, il che è proprio delle meretrici. Per chiarire la cosa si deve notare che sono mortali tutti i peccati commessi direttamente contro la vita dell'uomo. Ora, la fornicazione implica un disordine che nuoce alla vita di chi può nascere da un simile atto. Vediamo infatti che tutti quegli animali nei quali per l'educazione della prole si richiede la cura del maschio e della femmina non praticano l'unione sessuale occasionale, ma quella del maschio con una data femmina, una o più di una: come è evidente nel caso di tutti gli uccelli. Diverso è invece il caso degli animali in cui la sola femmina basta ad allevare i piccoli, nei quali c'è l'accoppiamento occasionale, come avviene nei cani e in altri animali del genere. Ora, è evidente che per educare un uomo non si richiede soltanto la cura della madre, che deve allattarlo, ma ancora di più quella del padre, che deve istruirlo e difenderlo, e provvederlo di beni sia interni che esterni. Perciò è contro la natura dell'uomo l'unione sessuale occasionale, ed è invece necessaria l'unione dell'uomo con una determinata donna, con la quale egli deve convivere non per un certo tempo, ma a lungo, o anche per tutta la vita. E da ciò deriva che è naturale per i maschi della specie umana la preoccupazione della certezza della loro prole, poiché ad essi incombe il dovere di educarla. Ma questa certezza verrebbe tolta se venisse praticata l'unione sessuale occasionale. Ora, questa scelta di una data donna prende il nome di matrimonio. Ed è per questo che si dice che esso è di diritto naturale. Ma poiché l'unione sessuale è ordinata al bene comune di tutto il genere umano, e i beni comuni sono oggetto delle determinazioni della legge, come si è visto sopra [I-II, q. 90, a. 2], è evidente che questa unione dell'uomo e della donna denominata matrimonio va determinata da qualche legge. Di questo argomento però parleremo nella Terza Parte di quest'opera, quando trattereremo del sacramento del matrimonio [Suppl., q. 41]. Siccome quindi la fornicazione è un'unione sessuale occasionale, avvenendo fuori del matrimonio, essa è contraria al bene della prole. Quindi è un peccato mortale. E poco importa che qualcuno nel commettere fornicazione con una donna provveda poi efficacemente all'educazione della prole. Poiché le disposizioni della legge vanno date secondo ciò che accade ordinariamente, e non secondo ciò che può accadere in qualche caso. Soluzione delle difficoltà: 1. La fornicazione fu enumerata [dagli Apostoli] con quelle altre pratiche non perché fosse alla pari con esse quanto alla colpevolezza, ma perché alla pari con esse poteva provocare un dissidio fra i Giudei e i Gentili, e impedire la loro concordia. Poiché presso i Gentili, per la corruzione della ragione naturale, la fornicazione semplice non era considerata illecita, mentre i Giudei, istruiti dalla legge divina, la reputavano illecita. Invece le altre cose ricordate in quel testo erano in abominio presso i Giudei in quanto abituati alle osservanze legali. Perciò gli Apostoli le proibirono non perché intrinsecamente illecite, ma perché ritenute abominevoli dai Giudei, come si è detto anche sopra [I-II, q. 103, a. 4, ad 3]. 2. La fornicazione è peccato in quanto è contraria alla retta ragione. Ma la ragione umana è retta in quanto è regolata dalla volontà di Dio, che è la regola prima e suprema. Perciò quanto l'uomo compie per volontà di Dio, obbedendo ai suoi comandi, non è contro la retta ragione, sebbene sia contro l'ordine consueto della ragione: come del resto non è contro natura un fatto miracoloso compiuto dalla potenza divina, sebbene sia contro il corso ordinario della natura. Come quindi non peccò Abramo [Gen 22] nel voler uccidere il suo figlio innocente, poiché obbediva a Dio, sebbene in se stessa questa cosa sia ordinariamente contro la rettitudine della ragione umana, così non peccò Osea nel fornicare per comando di Dio. Anzi, tale unione a rigore non può neppure dirsi fornicazione, sebbene sia così chiamata in rapporto alla norma comune. Da cui le parole di S. Agostino [Conf. 3, 8]: "Quando Dio comanda una cosa contro le usanze o le decisioni di chicchessia, sebbene ciò non sia stato mai fatto, bisogna farlo". E aggiunge: "Come infatti tra i poteri umani quello superiore può comandare all'inferiore, così Dio può comandare a tutti". 3. Abramo e Giacobbe si accostarono alle loro ancelle senza commettere fornicazione, come vedremo in seguito nel trattato sul matrimonio [cf. Suppl. q. 65, a. 5, ad 2]. Giuda invece non va necessariamente scusato dal peccato, poiché fu responsabile anche della vendita di suo fratello Giuseppe [Gen 37, 27]. 4. La fornicazione semplice è contraria all'amore verso il prossimo precisamente perché, come si è spiegato [nel corpo], il suo atto generativo è incompatibile col bene della prole che ne potrebbe nascere. 5. Chi soccombe alle attrattive della carne è liberato dalla perdizione eterna grazie alle opere di bene inquantoché con tali opere si predispone a ricevere la grazia del pentimento, e inquantoché soddisfa con tali opere ai peccati commessi. Non invece nel senso che perseverando impenitente nei peccati della carne fino alla morte possa essere liberato grazie alle opere di misericordia. 6. Un uomo può essere generato da un solo rapporto sessuale. Perciò il disordine di tale rapporto, che impedisce il bene dell'eventuale prole, è un peccato mortale nel suo genere, e non soltanto per il disordine della concupiscenza. Invece un solo pasto non basta a impedire tutto il bene di un individuo umano: perciò un atto di gola non è nel suo genere un peccato mortale. Lo sarebbe però se uno a ragion veduta prendesse un cibo capace di cambiare tutta la sua condizione di vita, come nel caso di Adamo [Gen 2, 17]. Inoltre non è vero che la fornicazione sia il più piccolo dei peccati di lussuria. Infatti è meno grave il rapporto sessuale tra coniugi motivato dalla libidine. Articolo 3: Se la fornicazione sia il più grave dei peccati Sembra che la fornicazione sia il più grave dei peccati. Infatti: 1. Un peccato è tanto più grave quanto maggiore è la brama da cui procede. Ora, nella fornicazione la brama è violentissima, poiché secondo la Glossa [ord. su 1 Cor 6, 18] il massimo ardore della brama si ha nella lussuria. Quindi la fornicazione è il più grave dei peccati. 2. Uno pecca tanto più gravemente quanto più la realtà contro cui pecca è unita a lui: come è più grave percuotere il proprio padre che percuotere un estraneo. Ora, come dice S. Paolo [1 Cor 6, 18], "chi si dà alla fornicazione pecca contro il proprio corpo", che è massimamente unito all'uomo. Perciò la fornicazione è il più grave peccato. 3. Quanto più grande è il bene, tanto più grave è il peccato che si commette contro di esso. Ma il peccato di fornicazione è contro il bene di tutto il genere umano, stando alle cose già dette [a. 2]. Inoltre è contro Cristo, secondo l'espressione di S. Paolo [1 Cor 6, 15]: "Prenderò le membra di Cristo e ne farò le membra di una prostituta?". Quindi la fornicazione è il più grave dei peccati. In contrario: S. Gregorio [Mor. 33, 12] insegna che i peccati carnali sono meno gravi dei peccati spirituali. Rispondo: La gravità di un peccato può essere determinata in due modi: primo, in senso assoluto; secondo, in senso relativo. In senso assoluto la gravità di un peccato si determina in base alla sua specie, che risulta dal bene al quale tale peccato si contrappone. Ora, la fornicazione si contrappone al bene della prole che dovrebbe nascere. Perciò essa è un peccato che per la sua specie è più grave dei peccati contro i beni esterni, quali ad es. il furto e altri peccati del genere, mentre è meno grave dei peccati che sono direttamente contro Dio e di quelli che sono contro la vita di un uomo già esistente, come ad es. l'omicidio. Soluzione delle difficoltà: 1. La brama che aggrava il peccato è quella che si riduce all'inclinazione della volontà. La brama invece dell'appetito sensitivo diminuisce il peccato: poiché quanto più uno è spinto dalla passione, tanto più lieve è il suo peccato. Ed è in questo senso che è fortissima la brama nella fornicazione. Per cui S. Agostino [Serm. supp. 293] ha scritto che "fra tutti i combattimenti del cristiano i più duri sono quelli della castità, in cui la lotta è quotidiana, ma rara è la vittoria". E S. Isidoro [De summo bono 2, 39] afferma che "il genere umano viene sottomesso al demonio più da questo vizio che da qualsiasi altro": in quanto cioè è più difficile sconfiggere la violenza di questa passione. 2. Si dice che il fornicatore pecca contro il proprio corpo non solo perché il piacere della fornicazione si produce nella carne, il che avviene anche nel peccato di gola, ma anche perché agisce contro il bene del proprio corpo, che egli in maniera indegna abbandona e profana accoppiandolo con altri. Tuttavia non ne segue che la fornicazione sia il più grave dei peccati: poiché nell'uomo la ragione è superiore al corpo, per cui se ci sono dei peccati maggiormente contrari alla ragione, questi sono più gravi. 3. Il peccato di fornicazione è contrario al bene della specie umana in quanto compromette il bene di un nascituro. Ora, è più incluso nella specie chi già attualmente ne partecipa che non un uomo il quale è tale solo in potenza. Per cui anche da questo lato l'omicidio è più grave della fornicazione e di tutti gli altri peccati di lussuria, essendo più incompatibile con il bene della specie umana. Inoltre il bene divino è superiore al bene della specie umana. Perciò anche i peccati contro Dio sono più gravi. Né la fornicazione è direttamente un peccato contro Dio, come se il fornicatore mirasse all'offesa di Dio, ma lo è solo indirettamente, come tutti i peccati mortali. Come infatti le membra del nostro corpo sono membra di Cristo, così anche il nostro spirito è una sola cosa con Cristo, secondo quanto dice S. Paolo [1 Cor 6, 17]: "Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito". Per cui anche i peccati spirituali sono contro Cristo più della fornicazione. Articolo 4: Se i toccamenti e i baci possano costituire un peccato mortale Sembra che i toccamenti e i baci non possano costituire un peccato mortale. Infatti: 1. L'Apostolo scrive [Ef 5, 3]: "La fornicazione e ogni specie di impurità o cupidigia neppure vengano nominate tra voi, come si addice a santi". E aggiunge poi [v. 4]: né "volgarità", cioè baci e abbracci [Glossa interlin.], né "insulsaggini", cioè parole svenevoli, né "trivialità", che gli stolti chiamano galanterie, ossia parole scherzose [ib.]. Ma poi conclude [v. 5]: "Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolatri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio", senza dire più nulla delle volgarità, delle insulsaggini e delle trivialità. Perciò queste ultime non sono peccati mortali. 2. La fornicazione è un peccato mortale perché con essa si impedisce il bene della prole da generare e da educare. Ma i baci, i toccamenti e gli abbracci non fanno tutto questo. Quindi in essi non c'è peccato mortale. 3. Gli atti che di per sé sono peccati mortali non possono mai essere compiuti in modo buono. Invece i baci, i toccamenti e le altre cose del genere talora si possono praticare senza peccato. Quindi non sono per loro natura peccati mortali. In contrario: 1. Uno sguardo impudico è meno di un toccamento, di un abbraccio o di un bacio. Ma uno sguardo impudico è peccato mortale [Mt 5, 28], secondo quelle parole evangeliche: "Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". A maggior ragione quindi sono peccati mortali il bacio libidinoso e gli altri atti ricordati. 2. "Certamente", scrive S. Cipriano [Epist. 62], "l'unione, gli abbracci, i colloqui, i baci e il turpe e disonesto dormire insieme, tutto questo come parla di onta e di crimine!". Quindi con questi atti uno diventa reo di crimine, cioè di peccato mortale. Rispondo: Un atto può essere peccato mortale in due modi. Primo, per la sua specie, o natura. E in questo senso il bacio, gli abbracci e i toccamenti non sono peccati mortali di per sé. Poiché queste cose si possono fare senza libidine: o per le usanze del luogo, o per qualche necessità, o per motivi ragionevoli. Secondo, un atto può essere peccato mortale per la causa che lo provoca: come chi fa l'elemosina per indurre un uomo all'eresia commette peccato mortale per la cattiva intenzione. Ora, come sopra [I-II, q. 74, a. 8] si è detto, è peccato mortale non solo l'acconsentire all'attuazione di un peccato, ma anche il semplice consenso al piacere di un peccato mortale. Siccome quindi la fornicazione, e più ancora le altre specie della lussuria, sono peccati mortali, ne segue che l'acconsentire al piacere della fornicazione, anche senza acconsentire all'atto, è un peccato mortale. In quanto dunque i baci, gli abbracci e gli altri gesti consimili vengono compiuti per il piacere suddetto, è chiaro che sono peccati mortali. E solo così sono detti libidinosi. Per cui questi atti, in quanto libidinosi, sono peccati mortali. Soluzione delle difficoltà: 1. L'Apostolo non ripete le ultime tre cose poiché non sono peccato se non in quanto sono ordinate alle precedenti. 2. Sebbene i baci e i toccamenti non impediscano per loro natura il bene della prole umana, tuttavia derivano dalla libidine, che è la radice di tale impedimento. E da qui deriva la loro natura di peccato mortale. 3. L'argomento dimostra soltanto che questi atti non sono peccati mortali nella loro specie. Articolo 5: Se la polluzione notturna sia un peccato Sembra che la polluzione notturna sia un peccato. Infatti: 1. Dove c'è il merito ci può essere anche il demerito. Ora, nel sonno uno può meritare: come è evidente nel caso di Salomone, che dormendo impetrò da Dio il dono della sapienza [1 Re 3, 5 ss.; 2 Cr 1, 7 ss.]. Quindi nel sonno si può anche demeritare. È chiaro quindi che la polluzione notturna è un peccato. 2. Chi ha l'uso della ragione può peccare. Ma nel sonno si ha l'uso della ragione: poiché nel sonno spesso si ragiona, e si preferisce una cosa a un'altra, acconsentendo o dissentendo. Quindi nel sonno si può peccare. E così il sonno non impedisce che la polluzione sia un peccato, essendo essa tale per la natura dell'atto. 3. È inutile ammonire o istruire chi non può agire secondo o contro la ragione. Ora, l'uomo nel sonno è istruito e ammonito da Dio, come si legge nel libro di Giobbe [33, 15 ss.]: "Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini. Apre allora l'orecchio dei mortali e li erudisce istruendoli nella disciplina". Quindi nel sonno uno può agire secondo o contro la ragione, e quindi agire bene o peccare. Perciò la polluzione notturna è un peccato. In contrario: S. Agostino [De Gen. ad litt. 12, 15] ha scritto: "Appena la fantasia che accompagna il pensiero di chi parla di certe cose viene presentata nel sogno in modo tale da non potersi più distinguere l'immagine dall'unione carnale dei corpi, subito la carne si muove, e segue ciò che suole accompagnare questi moti; pur essendo ciò senza peccato, come può essere senza peccato il parlare da svegli di certe cose che indubbiamente è impossibile dire senza che vi si pensi". Rispondo: La polluzione notturna può essere considerata in due modi. Primo, in se stessa. E così non ha natura di peccato. Ogni peccato infatti dipende dal giudizio della ragione: poiché anche i primi moti della sensualità non hanno natura di peccato se non in quanto possono essere tenuti a freno col giudizio della ragione. Se quindi si toglie quest'ultimo si toglie anche la malizia della colpa. Ora, nel sonno la ragione non è libera di giudicare: poiché non c'è nessuno che nel sonno non riguardi certe immagini della fantasia come delle realtà, secondo quanto si è detto nella Prima Parte [q. 84, a. 8, ad 2]. E così ciò che un uomo compie nel sonno senza il libero giudizio della ragione non può essergli imputato a colpa: come neppure ciò che viene compiuto dai pazzi furiosi o dai dementi. Secondo, la polluzione notturna può essere vista in rapporto alle sue cause. Le quali possono essere di tre generi. La prima è di ordine fisiologico. Quando infatti nel corpo sovrabbondano gli umori seminali, oppure quando questi sono sul punto di defluire, o per l'eccessivo calore del corpo o per qualsiasi altro stimolo, colui che dorme sogna cose che si riferiscono all'emissione di questi umori, come avviene quando il fisico è gravato da altre superfluità: per cui talora nell'immaginazione si formano dei fantasmi che riguardano l'espulsione di tali superfluità. Se quindi la sovrabbondanza di questi umori deriva da una causa colpevole, p. es. da un eccesso nel mangiare o nel bere, allora la polluzione notturna è colpevole nella sua causa. Se invece la sovrabbondanza o l'emissione di questi umori non dipende da una causa peccaminosa, allora la polluzione notturna non è colpevole in sé e neppure nella sua causa. La seconda causa della polluzione notturna può essere invece psicologica: nel caso p. es. che uno abbia la polluzione in seguito a un pensiero avuto in precedenza. E questo pensiero è talvolta puramente speculativo, come quando uno pensa ai peccati carnali per preparare una lezione a scuola; talora invece è accompagnato da qualche sentimento, o di attrattiva o di ripulsa. Ora, la polluzione notturna consegue con maggiore frequenza al pensiero di peccati carnali accompagnato dall'attrattiva per tali piaceri: poiché tale pensiero lascia una traccia e un'inclinazione nell'anima tale da indurre più facilmente i dormienti ad assentire con la fantasia a quegli atti a cui segue la polluzione. E in base a ciò il Filosofo [Ethic. 1, 13] affermava che "i fantasmi dei virtuosi sono migliori di quelli degli altri: poiché un poco alla volta certi moti si comunicano" dallo stato di veglia a quello di sonno. E S. Agostino [l. cit.] insegna che "grazie ai buoni sentimenti dell'anima, certe sue virtù si rivelano anche nel sonno". È evidente quindi che la polluzione notturna in questi casi è colpevole in causa. Talora però essa può capitare in seguito a dei pensieri solo speculativi, accompagnati da sentimenti di ripulsa. E allora la polluzione non è colpevole neppure in causa. La terza causa della polluzione è infine spirituale ed estrinseca: nel caso cioè che in ordine ad essa la fantasia dei dormienti sia mossa per opera del demonio. E ciò talora avviene in seguito a un peccato precedente, cioè per la negligenza nel premunirsi contro le illusioni diaboliche. Per questo alla sera (a Compieta) si canta: "Reprimi il nostro avversario, affinché i nostri corpi non risultino macchiati". E in Cassiano [Coll. 22, 6] si legge che un monaco subiva la polluzione notturna tutti i giorni di festa per opera del demonio, che voleva impedirgli la santa comunione. Così dunque è evidente che la polluzione notturna non è mai un peccato, ma talora è la conseguenza di un peccato precedente. Soluzione delle difficoltà: 1. Salomone, come spiega S. Agostino [l. cit.], non meritò da Dio la sapienza mentre dormiva, ma il sogno fu l'espressione di un desiderio precedente, per cui tale domanda piacque al Signore. 2. L'uso della ragione è più o meno ostacolato nel sonno a seconda che le potenze sensitive sono sollecitate da vapori torbidi o puri. Tuttavia c'è sempre un ostacolo che impedisce in qualche modo la libertà del giudizio, come si è detto nella Prima Parte [l. cit.]. Quindi non è imputabile a colpa ciò che allora uno compie. 3. Nel sonno la semplice apprensione intellettiva non è così impedita come il giudizio, il quale si compie mediante la riflessione sulle realtà sensibili, che sono i primi princìpi della conoscenza umana. Perciò nulla impedisce che un uomo dormendo possa apprendere intellettualmente qualcosa di nuovo, o da quanto rimane delle idee precedenti e dai fantasmi che si presentano, oppure anche per rivelazione divina, con l'intervento di angeli buoni o cattivi. Articolo 6: Se lo stupro debba essere considerato una specie determinata della lussuria Sembra che lo stupro non debba essere considerato una specie determinata della lussuria. Infatti: 1. Lo stupro implica "l'illecita deflorazione di una vergine", come dice il Decreto [di Graz. 2, 36, 1]. Ma ciò può avvenire tra due persone libere, il che rientra nella fornicazione. Quindi lo stupro non va considerato una specie della lussuria distinta dalla fornicazione. 2. S. Ambrogio [De Abraham. 1, 4] ammonisce: "Nessuno si illuda di sfuggire alle leggi umane: ogni stupro è un adulterio". Ma se due specie sono distinte, l'una non può rientrare nell'altra. Siccome quindi l'adulterio è una specie della lussuria, è chiaro che non può esserlo lo stupro. 3. Fare ingiuria a qualcuno rientra più nell'ingiustizia che nella lussuria. Ma chi commette uno stupro fa ingiuria a un altro, cioè al padre della ragazza, il quale può "ad arbitrio condonare l'ingiuria" [Decr., l. cit.] o muovere causa contro il seduttore. Quindi lo stupro non va posto tra le specie della lussuria. In contrario: Propriamente lo stupro consiste nell'atto venereo che deflora una vergine. Ora, poiché la lussuria riguarda propriamente i piaceri venerei, è chiaro che lo stupro è una specie della lussuria. Rispondo: Quando nella materia di un vizio si riscontra una speciale deformità, è necessario riconoscere una specie determinata di quel vizio. Ora, la lussuria è un peccato riguardante l'atto venereo, come sopra [q. 153, a. 1] si è detto. D'altra parte la deflorazione di una vergine che è sotto la tutela dei genitori presenta una speciale deformità. Sia dalla parte della ragazza la quale, essendo stata violata senza alcun contratto matrimoniale precedente, viene ridotta all'impossibilità di contrarre un matrimonio legittimo e viene posta sulla via del meretricio, dal quale prima era trattenuta per il timore di perdere il segno della verginità. Sia ancora dalla parte del padre che l'ha in custodia, secondo le parole della Scrittura [Sir 42, 11]: "Su una figlia indocile rafforza la vigilanza, perché non ti renda scherno dei nemici". È quindi evidente che lo stupro, il quale implica l'illecita deflorazione di vergini soggette alla cura dei genitori, è una specie determinata della lussuria. Soluzione delle difficoltà: 1. Sebbene una vergine sia libera dal vincolo del matrimonio, non è tuttavia libera dall'autorità paterna. Inoltre essa ha uno speciale impedimento al rapporto sessuale peccaminoso nel segno della verginità, il quale non deve essere infranto che dal matrimonio. Perciò lo stupro non è una semplice fornicazione, quale è invece il rapporto sessuale "con le meretrici", cioè con donne già violate; come risulta evidente dalla Glossa [interlin.] su quel testo di S. Paolo [2 Cor 12, 21]: "Che non si sono convertiti dalle impurità e dalla fornicazione", ecc. 2. In quel testo S. Ambrogio usa il termine stupro per un qualsiasi peccato di lussuria. Infatti chiama stupro il rapporto di uno sposato con qualsiasi altra donna che non sia la moglie. Il che è evidente dalle parole che seguono: "Non è lecito all'uomo quanto non è lecito alla donna". E il termine viene preso in questo senso anche in quel passo dei Numeri [5, 13] dove si legge: "Se l'adulterio rimane occulto, e non può essere provato con dei testimoni, poiché la donna non fu sorpresa nello stupro", ecc. 3. Nulla impedisce che un peccato diventi più grave assommandosi a un altro. Un peccato di lussuria quindi diventa più turpe con l'aggiunta di un peccato di ingiustizia: poiché la concupiscenza che non rifugge dall'ingiustizia si rivela più disordinata. E lo stupro implica due ingiustizie. La prima rispetto alla vergine, che viene sedotta, anche se non viene violentata: per cui si è tenuti a riparare. Nell'Esodo [22, 16 s.] infatti si legge: "Quando un uomo seduce una vergine non ancora fidanzata e pecca con lei, ne pagherà la dote nuziale ed essa diverrà sua moglie. Se poi il padre di lei si rifiuta di dargliela, egli dovrà versare una somma di danaro pari alla dote nuziale delle vergini". La seconda ingiuria viene fatta invece al padre della fanciulla. E secondo la legge anche per questo è prevista una pena. Sta scritto infatti nel Deuteronomio [22, 28 s.]: "Se un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata e pecca con lei e sono colti in flagrante, l'uomo che ha peccato con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d'argento: essa sarà sua moglie, per il fatto che egli l'ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita". E questo, secondo S. Agostino [Quaest. in Dt 34], "perché non sembri che l'abbia voluta oltraggiare". Articolo 7: Se il ratto sia una specie della lussuria distinta dallo stupro Sembra che il ratto o rapimento non sia una specie della lussuria distinta dallo stupro. Infatti: 1. S. Isidoro [Etym. 5, 26] scrive che "lo stupro, cioè il ratto, propriamente è un accoppiamento illecito, denominato così in base all'atto del corrompere: per cui con il ratto uno si impossessa di ciò di cui fa uso con lo stupro". Quindi il ratto non deve essere considerato una specie della lussuria distinta dallo stupro. 2. Il ratto implica una qualche violenza: poiché si legge nel Decreto [di Graz. 2, 27, 2, 4] che "il ratto viene commesso quando con la violenza si porta via una ragazza dalla sua casa paterna, per violarla e per sposarla". Ma la violenza che viene esercitata contro qualcuno è accidentale alla lussuria, che di per sé ha per oggetto il piacere carnale. Quindi il ratto non è una specie determinata della lussuria. 3. Il vizio della lussuria viene represso con il matrimonio, come insegna S. Paolo [1 Cor 7, 2]: "Per il pericolo dell'incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie". Il ratto invece è un impedimento al matrimonio; così infatti si espresse il Concilio di Meaux [Decr. di Graz. 2, 36, 2, 11]: "È stabilito che chi rapisce, ruba o seduce una donna, non la può tenere per moglie, nemmeno ricevendola in seguito come sposa col consenso dei genitori". Quindi il ratto non è una specie determinata della lussuria distinta dallo stupro. 4. Uno può unirsi alla propria sposa senza commettere un peccato di lussuria. Ma il ratto viene commesso anche prelevando con violenza dalla casa dei genitori la propria sposa per unirsi con lei. Quindi il ratto non va considerato una specie determinata della lussuria. In contrario: "Il ratto è un accoppiamento illecito", come dice S. Isidoro [cf. ob. 1]. Ma ciò si riduce a un peccato di lussuria. Quindi il ratto è una specie della lussuria. Rispondo: Il ratto di cui ora parliamo è una specie della lussuria. E talvolta esso è accompagnato dallo stupro, mentre talvolta c'è il solo ratto senza lo stupro, e altre volte ancora abbiamo lo stupro senza il ratto. Ora, le due cose coincidono quando uno fa violenza a una vergine per deflorarla. E questa violenza talora colpisce sia la ragazza che suo padre, talora invece colpisce il padre ma non la ragazza, p. es. quando questa acconsente a essere portata via dalla casa paterna con la violenza. Inoltre nella violenza del ratto troviamo altre differenze: poiché talvolta la ragazza viene strappata con violenza dalla sua casa e con violenza viene deflorata; talora invece, sebbene venga tolta di casa con violenza, tuttavia viene violata col suo consenso, o con un atto di fornicazione o con un atto matrimoniale. Comunque infatti ci sia la violenza, si può sempre parlare di ratto. Il ratto però può aversi senza stupro: quando ad es. uno rapisce una vedova, o una ragazza violata. Al che si riferiscono le parole del Papa Simmaco [Epist. 5]: "Noi detestiamo i rapitori di vedove o di vergini, per l'enormità del loro delitto". Lo stupro infine è senza il ratto quando uno deflora illecitamente una vergine senza che vi sia violenza. Soluzione delle difficoltà: 1. Siccome per lo più il ratto è accompagnato dallo stupro, talora si prende l'uno per l'altro. 2. La violenza nasce dall'intensità della concupiscenza, per cui uno non esita di fronte al pericolo di usare violenza. 3. Bisogna distinguere il ratto di ragazze già fidanzate con altri dal ratto di ragazze non fidanzate. Le prime infatti vanno restituite ai loro fidanzati, che in forza degli sponsali hanno un diritto su di esse. Le altre invece vanno prima restituite ai loro genitori; e allora con il consenso di questi possono essere prese per mogli. Se invece si procede diversamente il matrimonio è illecito: poiché chiunque ruba una cosa è tenuto alla restituzione. Tuttavia il ratto non dirime il matrimonio già contratto, sebbene impedisca di contrarlo. Il decreto del Concilio citato vale poi come condanna di quel delitto, ma è stato abrogato. Per cui S. Girolamo [Decr. di Graz. 2, 36, 2, 8] dice il contrario: "Nella Scrittura si riscontrano tre tipi di matrimoni legittimi. Il primo è quello di una vergine casta data a un uomo in maniera legittima. Il secondo è quello di una vergine oppressa da un uomo nell'abitato: se il padre di lei vorrà, quest'uomo le darà la dote indicata dal padre, e ne ripagherà il pudore. Il terzo tipo si ha quando il padre riprende la ragazza rapita per darla a un altro". Oppure quel testo va inteso di ragazze già promesse ad altri: specialmente in ragione dei verbi al presente. 4. Il fidanzato, in forza degli sponsali, ha un certo diritto sulla fidanzata. Sebbene quindi pecchi nell'usare la violenza, tuttavia è scusato dal delitto di ratto. Da cui le parole del Papa Gelasio [Decr. di Graz. 2, 27, 2, 49]: "Secondo la legge degli antichi imperatori si ha il ratto quando si rapisce una ragazza senza alcun previo contratto di matrimonio". Articolo 8: Se l'adulterio sia una specie distinta del peccato di lussuria Sembra che l'adulterio non sia una specie distinta del peccato di lussuria. Infatti: 1. Adulterio deriva da ad alteram, cioè dal rapporto sessuale con un'altra donna diversa dalla propria, come spiega la Glossa [ord. su Es 20, 14]. Ma quest'altra donna può essere di svariate condizioni: p. es. vergine sotto la tutela paterna, o meretrice, oppure di qualsiasi altra condizione. Quindi l'adulterio non è una specie della lussuria distinta dalle altre. 2. S. Girolamo [Contra Iovin.] fa osservare che "non importa nulla la causa per cui uno perde la testa. Per cui Sisto Pitagorico afferma: "L'amante esagerato della propria moglie è un adultero"". E lo stesso si può dire per l'amore verso qualsiasi donna. Ma in ogni tipo di lussuria si riscontra un amore esagerato. Quindi in ogni tipo di lussuria c'è un adulterio. Perciò questo non va considerato una specie distinta della lussuria. 3. Dove si riscontra il medesimo disordine non ci possono essere specie diverse di peccati. Ma nello stupro e nell'adulterio si riscontra il medesimo disordine, poiché nell'uno e nell'altro viene violata una donna che è sotto il potere di altri. Quindi l'adulterio non è una specie determinata e distinta della lussuria. In contrario: S. Leone Papa [Agost., De bono coniug. 4] afferma che "si commette adulterio quando, o portati dalla libidine propria, o per il consenso di quella altrui, si ha il rapporto sessuale con un'altra persona contro la fedeltà coniugale". Ma ciò implica un disordine speciale nella lussuria. Quindi l'adulterio è una specie determinata della lussuria. Rispondo: L'adulterio, come vuole la stessa etimologia, "è l'accesso all'altrui toro" [Decr. di Graz. 2, 36, 1, 2]. E in esso si può peccare in due modi contro la castità e contro la prole: primo, unendosi con una donna a cui non si è legati mediante il matrimonio, il che è invece richiesto per l'educazione della prole propria; secondo, unendosi con la moglie di un altro, il che danneggia la prole altrui. E lo stesso si dica per la donna sposata che commette adulterio. Da cui le parole [Sir 23, 22 s.]: "Ogni donna che lascia il proprio marito commette peccato"; primo, perché "disobbedisce alla legge dell'Altissimo", nella quale sta scritto: "non commettere adulterio"; secondo, perché "commette un torto verso il proprio marito", rendendone così dubbia la prole; terzo, perché "introduce in casa i figli di un estraneo", contro il bene della prole propria. Ora, il primo motivo è comune a tutti i peccati mortali, mentre gli altri due costituiscono la deformità speciale dell'adulterio. È quindi evidente che l'adulterio è una specie determinata della lussuria, implicando un disordine speciale nel campo degli atti venerei. Soluzione delle difficoltà: 1. Se uno sposato si unisce sessualmente con un'altra donna, il peccato commesso può essere considerato o come appartenente a lui, e allora è sempre un adulterio, oppure come appartenente alla donna. E in questo caso talora è un adulterio, p. es. quando uno sposato va con la moglie di un altro, talora invece ha natura di stupro, o di un altro peccato, secondo le diverse condizioni della donna. Infatti sopra [a. 1] abbiamo detto che le specie della lussuria si distinguono secondo le diverse condizioni della donna. 2. Il matrimonio, come si è visto [a. 2], è ordinato formalmente al bene della prole umana. Ora, l'adulterio è direttamente contrario al matrimonio: in quanto viola la fedeltà che ci deve essere tra i coniugi. E poiché chi è un amante troppo ardente della moglie agisce contro il bene del matrimonio usandone in modo disonesto, pur osservando la fedeltà, ne segue che in qualche modo può essere detto adultero; e più di chi è un amante troppo ardente di una donna altrui. 3. La moglie è sotto il potere del marito in quanto a lui sposata; la ragazza invece è sotto il potere del padre come nubile. Perciò il peccato di adulterio compromette il bene del matrimonio in modo diverso dal peccato di stupro. Per cui sono due specie distinte di lussuria. Degli altri aspetti poi dell'adulterio parleremo nella Terza Parte, trattando del matrimonio [cf. Suppl. q. 59, a. 3; qq. 60, 62]. Articolo 9: Se l'incesto sia una specie distinta della lussuria Sembra che l'incesto non sia una specie distinta della lussuria. Infatti: 1. Incesto suona "non casto". Ma alla castità si contrappone in generale la lussuria. Quindi l'incesto non è una specie della lussuria, ma la lussuria in genere. 2. Nel Decreto [di Graz. 2, 28, 1] si legge che "l'incesto è l'abuso di donne consanguinee o affini". Ma l'affinità è distinta dalla consanguineità. Quindi l'incesto non è una specie unica della lussuria, ma una pluralità di specie. 3. Ciò che non implica un particolare disordine in se stesso non costituisce una determinata specie di peccato. Ma l'accostarsi a donne consanguinee o affini non è in se stesso un disordine: altrimenti non sarebbe stato lecito in alcun tempo. Quindi l'incesto non è una specie determinata della lussuria. In contrario: Le specie della lussuria si distinguono secondo le diverse condizioni delle donne di cui si abusa. Ma l'incesto implica una speciale condizione di queste donne: poiché esso è "l'abuso di donne consanguinee o affini", come si è detto [ob. 2]. Quindi l'incesto è una specie determinata della lussuria. Rispondo: Bisogna ammettere, come già si è detto [aa. 1, 6], una specie determinata di lussuria là dove si riscontra qualcosa che ripugna all'uso legittimo della sessualità. Ora, nel rapporto sessuale con i consanguinei o gli affini vi è tale ripugnanza per tre motivi. Primo, poiché per natura l'uomo deve un certo onore ai genitori, e di conseguenza agli altri consanguinei, che ad essi immediatamente si riallacciano nella loro origine: cosicché presso gli antichi, come riferisce Valerio Massimo [Dict. factorumque memorab. 2, 1], non era ammesso che un figlio potesse fare il bagno assieme al padre, per non vedersi nudi reciprocamente. Ora è evidente, in base a quanto detto [q. 142, a. 4; q. 151, a. 4], che negli atti venerei si ha un eccesso di turpitudine che è incompatibile con l'onore: per cui gli uomini se ne vergognano più di ogni altra cosa. È quindi sconveniente che avvengano rapporti sessuali tra simili persone. E a questo motivo sembra accennare quel testo del Levitico [18, 7]: "È tua madre: non scoprirai la sua nudità". E la stessa cosa dice poi per gli altri parenti. Secondo, perché i consanguinei devono necessariamente convivere. Per cui se gli uomini non venissero distolti da questi rapporti sessuali, si offrirebbero loro continue occasioni; e così i loro animi sarebbero snervati dalla lussuria. Per questo nell'antica legge viene proibito in modo particolare il rapporto sessuale con tutte le persone con cui si deve convivere. Il terzo motivo sta nel fatto che altrimenti si impedirebbe il moltiplicarsi delle amicizie: poiché quando uno prende per sposa un'estranea si rende amici tutti i consanguinei di lei, come se fossero suoi consanguinei. Da cui le parole di S. Agostino [De civ. Dei 15, 16]: "Una norma rettissima di carità invita gli uomini, per i quali la concordia è utile e onorabile, a moltiplicare i loro legami di parentela: un solo uomo non dovrebbe concentrarli troppo in se stesso, ma dovrebbe ripartirli tra soggetti differenti". Aristotele [Polit. 2, 1] poi aggiunge un quarto motivo affermando che se l'uomo, il quale già naturalmente ama le proprie consanguinee, vi aggiungesse l'amore proprio dell'atto sessuale, si avrebbe una passione eccessiva e un incentivo massimo alla libidine; il che è incompatibile con la castità. Perciò è evidente che l'incesto è una specie determinata della lussuria. Soluzione delle difficoltà: 1. L'abuso dei consanguinei provocherebbe la più grave corruzione della castità: sia per le facili occasioni, sia per l'eccesso della passione amorosa, come si è detto [nel corpo]. Per cui tale abuso viene detto per antonomasia incesto. 2. Una persona diviene affine per la consanguineità di un proprio congiunto. Poiché dunque l'una cosa deriva dall'altra, la consanguineità e l'affinità producono un disordine dello stesso genere. 3. Nei rapporti sessuali fra congiunti ci sono delle cose disoneste e ripugnanti in se stesse secondo la ragione naturale, come l'accoppiamento tra genitori e figli, la cui cognazione è immediata: i figli infatti devono onorare per natura i loro genitori. E il Filosofo [De animal. 9, 47] racconta che un cavallo, essendo stato spinto con inganno all'accoppiamento con la madre, per l'orrore andò a gettarsi da sé in un precipizio: poiché persino certi animali sentono una naturale riverenza verso i genitori. Invece nelle altre persone che hanno una cognazione non immediata, ma in forza dei genitori, non si riscontra di per sé un disordine evidente: e così la convenienza o la sconvenienza varia secondo le abitudini, e secondo la legge umana o divina. Essendo infatti l'uso della sessualità ordinato al bene comune, come si è detto [a. 2], esso soggiace alla legge. Per cui S. Agostino [l. cit.] scrive che "il rapporto carnale tra fratelli e sorelle, quanto più fu antico per una stretta necessità, tanto più fu ritenuto in seguito condannabile per il divieto della religione". Articolo 10: Se il sacrilegio possa essere una specie della lussuria Sembra che il sacrilegio non possa essere una specie della lussuria. Infatti: 1. La medesima specie non può trovarsi in generi diversi non subalterni. Ma il sacrilegio è una specie dell'irreligione, come sopra [q. 99, a. 2] si è visto. Quindi il sacrilegio non può essere elencato tra le specie della lussuria. 2. Nel Decreto [di Graz. 2, 36, 1] il sacrilegio non viene enumerato tra le altre specie della lussuria. È quindi evidente che non è una sua specie. 3. Come nella lussuria, così anche in altri generi di vizi può capitare di compiere degli atti contro le cose sante. Ma il sacrilegio non viene posto tra le specie del vizio della gola, o di altri vizi. Quindi esso non va considerato neppure una specie della lussuria. In contrario: S. Agostino [De civ. Dei 15, 16] afferma che "come è un'iniquità non rispettare i confini dei campi per l'avidità di possedere, così è un'iniquità trasgredire i limiti dell'onestà per la libidine del piacere carnale". Ora, violare i limiti dei campi nelle cose sacre è un peccato di sacrilegio. Quindi per lo stesso motivo è un sacrilegio trasgredire per la libidine i limiti dell'onestà in cose sacre. Ma la libidine rientra nella lussuria. Quindi il sacrilegio è una specie della lussuria. Rispondo: Come si è già notato [q. 85, a. 3; q. 99, a. 2, ad 2; I-II, q. 18, aa. 6, 7], l'atto di una virtù o di un vizio, quando è ordinato al fine di un'altra virtù o di un altro vizio, assume la specie di questi ultimi: come il furto che viene commesso in vista di un adulterio rientra nella specie dell'adulterio. Ora, è evidente che l'osservanza della castità in quanto è ordinata al culto di Dio è un atto della virtù di religione: il che risulta chiaramente in coloro che fanno il voto di verginità e lo osservano, come insegna S. Agostino [De virginit. 8]. È chiaro quindi che anche la lussuria, nella misura in cui viola qualcosa che riguarda il culto di Dio, costituisce un sacrilegio. E in base a ciò il sacrilegio può essere considerato tra le specie della lussuria. Soluzione delle difficoltà: 1. La lussuria, nella misura in cui è ordinata al fine di un altro vizio, diventa una sua specie. E così una specie della lussuria può costituire la specie di un vizio più grave contrario alla virtù della religione. 2. Nel testo accennato vengono enumerati quegli atti che costituiscono per se stessi le varie specie della lussuria; invece il sacrilegio rientra nelle specie della lussuria in quanto è ordinato al fine di un altro vizio o peccato. Ed esso può coincidere con diverse specie di lussuria. Se infatti uno abusa di una persona a lui legata da cognazione spirituale, si ha un sacrilegio che assomiglia a un incesto. Se invece si abusa di una vergine consacrata a Dio, allora in quanto essa è sposa di Cristo si ha un sacrilegio a modo di adulterio; in quanto invece è sotto la tutela di un padre spirituale vi sarà come uno stupro spirituale; e se si usa violenza si avrà un ratto spirituale, che anche le leggi civili puniscono più gravemente di ogni altro ratto. Per cui Giustiniano [Decr. di Graz. 2, 33, 3, 1, 6] comanda: "Se uno osasse non dico effettuare, ma anche solo tentare il ratto di vergini consacrate in vista del matrimonio, sia condannato a morte". 3. Si commette sacrilegio violando le cose sante. Ora, cose sante sono o le persone consacrate, con cui si desidera di avere un rapporto sessuale: e ciò rientra nella lussuria; oppure i beni materiali di cui si desidera il possesso: e ciò rientra nell'ingiustizia. E si può commettere sacrilegio anche con l'ira: p. es. se uno mosso dall'ira fa ingiuria a una persona consacrata. Oppure si commette sacrilegio assumendo golosamente un cibo sacro. Tuttavia il sacrilegio viene attribuito in un modo tutto particolare alla lussuria, che è il contrario della castità, alla cui osservanza certe persone si sono consacrate in modo speciale. Articolo 11: Se il vizio contro natura sia una specie della lussuria Sembra che il vizio contro natura non sia una specie della lussuria. Infatti: 1. Nell'enumerazione sopra [a. 10, ob. 2] riferita delle specie della lussuria non si fa alcun cenno al vizio contro natura. Perciò questo non è una specie della lussuria. 2. La lussuria si contrappone alla virtù: e così rientra nella malizia. Invece il vizio contro natura non rientra nella malizia, ma nella bestialità, come nota il Filosofo [Ethic. 7, 5]. Quindi il vizio contro natura non è una specie della lussuria. 3. La lussuria consiste in atti ordinati alla generazione umana, come risulta evidente da quanto abbiamo detto [q. 153, a. 2]. Invece il vizio contro natura consiste in atti dai quali non può seguire la generazione. Quindi il vizio contro natura non è una specie della lussuria. In contrario: Il vizio suddetto è enumerato da S. Paolo tra gli altri peccati di lussuria là dove dice [2 Cor 12, 21]: "Non si sono convertiti né dall'immondezza, né dalla fornicazione, né dall'impudicizia"; e la Glossa [interlin.] spiega: "L'immondezza equivale alla lussuria contro natura". Rispondo: Come già si è notato [aa. 6, 9], esiste una specie distinta di lussuria là dove si riscontra un disordine speciale che rende indecente l'atto venereo. E ciò può avvenire in due modi. Primo, perché [tale disordine] ripugna alla retta ragione: il che si riscontra in tutti i peccati di lussuria. Secondo, perché oltre a ciò ripugna anche allo stesso ordine naturale e fisiologico dell'atto sessuale proprio della specie umana: e questo viene detto peccato o vizio contro natura. Il quale può essere compiuto in più modi. Primo, procurando senza alcun rapporto sessuale la polluzione in vista del piacere venereo: e questo è il peccato di immondezza, che alcuni chiamano mollezza [o masturbazione]. Secondo, praticando l'unione sessuale con esseri di altra specie: e si ha allora la bestialità. Terzo, accoppiandosi con il sesso indebito, cioè maschi con maschi e femmine con femmine, come riferisce S. Paolo [Rm 1, 26 s.]: e questo è il vizio della sodomia. Quarto, non osservando il modo naturale dell'accoppiamento: o perché non si usano i debiti organi, o perché si compie l'atto in altri modi mostruosi e bestiali. Soluzione delle difficoltà: 1. Nel testo a cui si accenna vengono enumerate le [sole] specie della lussuria che non ripugnano alla natura umana. Per questo manca il vizio contro natura. 2. La bestialità differisce dalla malizia, che è il contrario della virtù umana, per un eccesso riguardante la stessa materia. Per cui si può ridurre al medesimo genere. 3. Il lussurioso non ha di mira la generazione, ma il piacere venereo: il quale può essere ottenuto anche senza gli atti a cui consegue la generazione umana. E questo è quanto viene ricercato nel vizio contro natura. Articolo 12: Se il vizio contro natura sia il più grave dei peccati di lussuria Sembra che il vizio contro natura non sia il più grave dei peccati di lussuria. Infatti: 1. Un peccato è tanto più grave quanto più è contrario alla carità. Ora, è più contrario alla carità verso il prossimo l'adulterio, lo stupro e il rapimento, che fanno ingiuria al prossimo, che non i peccati contro natura in cui non si fa ingiuria ad altri. Perciò il peccato contro natura non è il più grave tra i peccati di lussuria. 2. I peccati più gravi sono quelli che si commettono contro Dio. Ma il sacrilegio si commette direttamente contro Dio: poiché è un'offesa al culto verso di lui. Quindi il sacrilegio è un peccato più grave del vizio contro natura. 3. Un peccato è più grave se viene perpetrato contro una persona che dobbiamo amare di più. Ora, secondo l'ordine della carità dobbiamo amare di più le persone a noi maggiormente legate, che vengono offese con l'incesto, piuttosto che le persone estranee, che vengono coinvolte in certi peccati contro natura. Quindi l'incesto è un peccato più grave del peccato contro natura. 4. Se il peccato contro natura fosse il più grave, dovrebbe essere tanto più grave quanto più è contro natura. Ma la cosa maggiormente contro natura sembra essere il peccato di immondezza, ovvero di masturbazione: poiché la natura sembra esigere in questo atto soprattutto la distinzione tra agente e paziente. Quindi in base a ciò la masturbazione sarebbe il più grave dei peccati contro natura. Ma ciò è falso. Quindi i peccati contro natura non sono i più gravi tra quelli di lussuria. In contrario: S. Agostino [De bono coniug. 8] afferma che "fra tutti questi peccati", cioè quelli di lussuria, "il peggiore è quello contro natura". Rispondo: In ogni genere di cose la degenerazione più grave è la corruzione dei princìpi, da cui tutto il resto dipende. Ora, i princìpi della ragione umana sono dati da ciò che è secondo la natura: infatti la ragione, presupposto ciò che è determinato dalla natura, dispone il resto in conformità ad essa. E ciò è evidente sia in campo speculativo che in campo pratico. Come quindi in campo speculativo l'errore circa i princìpi noti per natura è quello più grave e vergognoso, così in campo pratico l'agire contro ciò che è secondo la natura è il peccato più grave e più turpe. Poiché dunque nel vizio contro natura si trasgredisce ciò che è determinato secondo la natura nell'uso della sessualità, ne segue che questo è il peccato più grave in tale materia. Dopo del quale viene l'incesto, che è contro la riverenza naturale dovuta ai propri congiunti, come si è detto [a. 9]. Invece nelle altre specie della lussuria si trasgredisce solo ciò che è determinato dalla retta ragione: partendo tuttavia dal presupposto dei princìpi naturali. Ora, ripugna maggiormente alla ragione che uno usi dei piaceri venerei non solo contro il bene della prole da generarsi, ma anche con ingiuria verso la comparte. Perciò la semplice fornicazione che viene commessa senza fare ingiuria a un'altra persona è il minore fra i peccati di lussuria. L'ingiuria poi è più grave se si abusa di una donna soggetta al potere di un altro uomo in ordine alla generazione, piuttosto che per la sola tutela. Quindi l'adulterio è più grave dello stupro. E l'uno e l'altro diventano più gravi per la violenza. Per cui il ratto di una vergine è più grave dello stupro, e il ratto di una sposa è più grave dell'adulterio. E tutti questi peccati diventano ancora più gravi se vi è sacrilegio, come sopra [a. 10, ad 2] si è accennato. Soluzione delle difficoltà: 1. L'ordine della retta ragione deriva dall'uomo, ma l'ordine della natura deriva da Dio. Perciò nei peccati contro natura, nei quali si viola tale ordine, si fa ingiuria a Dio stesso, Ordinatore della natura. Scrive quindi S. Agostino [Conf. 3, 8]: "I peccati contro natura come quelli dei Sodomiti sono sempre degni di detestazione e di castigo; e anche se fossero commessi da tutte le genti, queste sarebbero ree di uno stesso crimine di fronte alla legge di Dio, la quale non ammette che gli uomini si comportino in quel modo. Così infatti viene violata la società che deve esistere tra noi e Dio, essendo profanata con la perversità della libidine la natura di cui egli è l'autore". 2. Anche i vizi contro natura sono contro Dio, come si è detto [ad 1]. E sono tanto più gravi del sacrilegio quanto più l'ordine della natura è primordiale e stabile rispetto a qualsiasi altro ordine successivo. 3. A ciascuno la natura della propria specie è unita più intimamente di qualsiasi altro individuo. Perciò i peccati che sono contrari alla natura specifica sono più gravi. 4. La gravità di un peccato dipende più dall'abuso di una cosa che dall'omissione del debito uso. Perciò fra tutti i vizi contro natura occupa l'infimo posto il peccato di immondezza, o masturbazione, che consiste nella sola omissione del rapporto sessuale con un'altra persona. Il peccato più grave è invece la bestialità, in cui non si rispetta la propria specie. Per cui la Glossa [interlin.], spiegando quel passo della Genesi [37, 2]: "[Giuseppe] accusò i suoi fratelli di un peccato gravissimo", aggiunge: "cioè di avere rapporti carnali con le bestie". Dopo di questo c'è il vizio della sodomia, in cui non si rispetta il debito sesso. Infine viene il peccato di chi non rispetta il debito modo di avere il rapporto. E il non fare uso dei debiti organi è più grave del disordine riguardante solo il modo dell'unione. Cristo capo della chiesa CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA Libreria Editrice Vaticana 1992 Capo di questo corpo è Cristo Cristo « è il Capo del corpo, cioè della Chiesa » (Col 1,18). È il Principio della creazione e della redenzione. Elevato alla gloria del Padre, ha « il primato su tutte le cose » (Col 1,18), principalmente sulla Chiesa, per mezzo della quale estende il suo regno su tutte le cose. Egli ci unisce alla sua pasqua. Tutte le membra devono sforzarsi di conformarsi a lui finché in esse « non sia formato Cristo » (Gal 4,19). « Per questo siamo assunti ai misteri della sua vita. [...] Come il corpo al Capo veniamo associati alle sue sofferenze e soffriamo con lui per essere con lui glorificati ». 233 794 Egli provvede alla nostra crescita.234 Per farci crescere verso di lui, nostro Capo 235 Cristo dispone nel suo corpo, la Chiesa, i doni e i mini- steri attraverso i quali noi ci aiutiamo reciprocamente lungo il cammino della salvezza. 795 Cristo e la Chiesa formano, dunque, il « Cristo totale » [« Christus totus »]. La Chiesa è una con Cristo. I santi hanno una coscienza vivissima di tale unità: « Rallegriamoci, rendiamo grazie a Dio, non soltanto perché ci ha fatti diventare cristiani, ma perché ci ha fatto diventare Cristo stesso. Vi rendete conto, fratelli, di quale grazia ci ha fatto Dio, donandoci Cristo come Capo? Esultate, gioite, siamo divenuti Cristo. Se egli è il Capo, noi siamo le membra: siamo un uomo completo, egli e noi. [...] Pienezza di Cristo: il Capo e le membra. Qual è la Testa, e quali sono le membra? Cristo e la Chiesa ». 236 « Redemptor noster unam se personam cum sancta Ecclesia, quam assumpsit, exhibuit – Il nostro Redentore presentò se stesso come unica persona unita alla santa Chiesa, da lui assunta ». 237 « Caput et membra, quasi una persona mystica – Capo e membra sono, per così dire, una sola persona mistica ». 238 Una parola di santa Giovanna d’Arco ai suoi giudici riassume la fede dei santi dottori ed esprime il giusto sentire del credente: « A mio avviso, Gesù Cristo e la Chiesa sono un tutt’uno, e non bisogna sollevare difficoltà ». 239 LA CHIESA È UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA 811 « Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica ».261 Questi quattro attributi, legati inseparabilmente tra di loro,262 indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione. La Chiesa non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a rea- lizzare ciascuna di queste caratteristiche. 812 Soltanto la fede può riconoscere che la Chiesa trae tali caratteri- stiche dalla sua origine divina. Tuttavia le loro manifestazioni storiche sono segni che parlano chiaramente alla ragione umana. « La Chiesa – ricorda il Concilio Vaticano –, a causa della sua eminente santità [...], della sua cattolica unità, della sua incrollabile stabilità, è per se stessa un grande e perenne motivo di credibilità e una irrefragabile testimonianza della sua missione divina ».263 I. La Chiesa è una « Il sacro mistero dell’unità della Chiesa » 264 813 La Chiesa è una per la sua origine: « Il supremo modello e il prin- cipio di questo mistero è l’unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo ».265 La Chiesa è una per il suo Fondatore: « Il Figlio incarnato, infatti, [...] per mezzo della sua croce 766 ha riconciliato tutti gli uomini con Dio, [...] ristabilendo l’unità di tutti i popoli in un solo popolo e in un solo corpo ».266 La Chiesa è una per la sua « anima »: « Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e tutta riem- 797 pie e regge la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa ».267 È dunque proprio dell’essenza stessa della Chiesa di essere una: « Che stupendo mistero! Vi è un solo Padre dell’universo, un solo Logos dell’universo e anche un solo Spirito Santo, ovunque identico; vi è anche una sola Vergine divenuta Madre, e io amo chiamarla Chiesa ».268 814 Fin dal principio, questa Chiesa « una » si presenta tuttavia con 791, 873 una grande diversità, che proviene sia dalla varietà dei doni di Dio sia dalla molteplicità delle persone che li ricevono. Nell’unità del popolo di 1202 Dio si radunano le diversità dei popoli e delle culture. Tra i membri della Chiesa esiste una diversità di doni, di funzioni, di condizioni e modi di vita; « nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente del- 832 le Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni ».269 La grande ricchezza di tale diversità non si oppone all’unità della Chiesa. Tuttavia, il peccato e il peso delle sue conseguenze minacciano continuamente il dono dell’unità. Anche l’Apostolo deve esortare a « conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace » (Ef 4,3). 1827 815 Quali sono i vincoli dell’unità? Al di sopra di tutto la carità, che « è il vincolo di perfezione » (Col 3,14). Ma l’unità della Chiesa nel 830, 837 tempo è assicurata anche da legami visibili di comunione: 173 — la professione di una sola fede ricevuta dagli Apostoli; — la celebrazione comune del culto divino, soprattutto dei sacramenti; — la successione apostolica mediante il sacramento dell’Ordine, che custodisce la concordia fraterna della famiglia di Dio.270 816 « L’unica Chiesa di Cristo... » è quella « che il Salvatore nostro, dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida [...]. Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come una società, sussiste ["subsistit in"] nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui ».271 Il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II esplicita: « Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della 830 salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorpo- rati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio ».272 Le ferite dell’unità 817 Di fatto, « in questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni, che l’Apostolo riprova con gravi parole come degne di condanna; ma nei secoli posteriori sono nati dissensi più ampi e comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora non senza colpa di uomini d’entrambe le parti ».273 Le scissioni che feriscono l’unità del corpo di 2089 Cristo (cioè l’eresia, l’apostasia e lo scisma) 274 non avvengono senza i peccati degli uomini: « Ubi peccata sunt, ibi est multitudo, ibi schismata, ibi haereses, ibi discussiones. Ubi autem virtus, ibi singularitas, ibi unio, ex quo omnium credentium erat cor unum et anima una – Dove c’è il peccato, lì troviamo la molteplicità, lì gli scismi, lì le eresie, lì le controversie. Dove, invece, regna la virtù, lì c’è unità, lì comunione, grazie alle quali tutti i credenti erano un cuor solo e un’anima sola ».275 818 Coloro che oggi nascono in comunità sorte da tali scissioni « e sono istruiti nella fede di Cristo [...] non possono essere accusati del peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li abbraccia con fraterno rispetto e amore. [...] Giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incor- 1271 porati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore ».276 819 Inoltre, « parecchi elementi di santificazione e di verità » 277 « si trovano fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, come la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili ».278 Lo Spirito di Cristo si serve di queste Chiese e comunità ecclesiali come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla pienezza di grazia e di verità che Cristo ha dato alla Chiesa cattolica. Tutti questi beni provengono da Cristo e a lui conducono 279 e « spingono verso l’unità cattolica ».280 233 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 7: ASS 57 (1965) 10. 234 Cf Col 2,19. 235 Cf Ef 4,11-16 236 Sant’Agostino, In Iohannis evangelium tractatus, 21, 8: CCL 36, 216-217 (PL 35,1568). 237 San Gregorio Magno, Moralia in Iob, Praefatio, 6, 14: CCL 143, 19 (PL 75, 525). 238 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, III, q. 48, a. 2, ad 1: Ed. Leon. 11, 464. 239 Santa Giovanna d’Arco, Dictum: Procès de condamnation, ed. P. Tisset (Paris 1960) p. 166 (testo francese). 240 Cf Gv 3,29. 241 Cf Mt 22,1-14; 25,1-13. 261 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8: AAS 57 (1965) 11. 262 Cf Sant’Offizio, Lettera ai Vescovi d’Inghilterra (14 settembre 1864): DS 2888. 263 Concilio Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, c. 3: DS 3013. 264 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 2: AAS 57 (1965) 92. 265 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 2: AAS 57 (1965) 92. 266 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 78: AAS 58 (1966) 1101. 267 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 2: AAS 57 (1965) 91. 268 Clemente d’Alessandria, Paedagogus, 1, 6, 42: GCS 12, 115 (PG 8, 300). 269 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 13: AAS 57 (1965) 18. 270 Cf Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 2: AAS 57 (1965) 91-92; Id., Cost. dogm. Lumen gentium, 14: AAS 57 (1965) 18-19; CIC canone 205. 271 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8: AAS 57 (1965) 11-12. Credo nello Spirito Santo 245 272 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 3: AAS 57 (1965) 94. 273 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 3: AAS 57 (1965) 92-93. 274 Cf CIC canone 751. 275 Origene, In Ezechielem homilia, 9, 1: SC 352, 296 (PG 13, 732). 276 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 3: AAS 57 (1965) 93. 277 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8: AAS 57 (1965) 12. 278 Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, 3: AAS 57 (1965) 93; cf Id., Cost. dogm. Lumen gentium, 15: AAS 57 (1965)

IL NUOVO CATECHISMO OLANDESE - ED. ELLE DI CI - 1966
 Con l’imprimatur del Cardinale Alfrink di Utrecht, datato dal 1° marzo 1966, uscì in Olanda in lingua olandese, un catechismo di 602 pagine, con prefazione dei Vescovi Olandesi, composto dall’Istituto Superiore di Catechesi di Nimega.
Per quanto riguarda la sessualità, affermava che la masturbazione negli adolescenti ( e in diversi casi anche nell adulto) non è un peccato.

https://sites.google.com/site/sestocomandamentodellachiesa/

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